Mai rassicurante, beffardo, ma non cinico. È Giorgio Ghiotti, autore dei racconti de “Le cattività domestiche” che, giovane ma già con voce sicura, padroneggia gli strumenti della narrativa breve. Storie che si leggono con facilità, per merito della piacevolezza e dell’esattezza del linguaggio e della composizione stilistica…
Le cattività domestiche (144 pagine, 17 euro) di Giorgio Ghiotti, giovanissimo scrittore e poeta, è la riprova che c’è scrivere e scrivere. C’è il genere “se la cava sulla pagina”, quello che fa dire “ho letto una cosa piacevole” e poi c’è la “voce”, la fatidica voce dell’autore; lo sguardo, quell’occhio che vede il mondo a modo proprio e lo porta al lettore, aprendo la sua visuale, allargando il suo modo di guardare l’altro e le altre cose, aiutandolo a “vedere”. Giorgio Ghiotti sa farlo con la sua scrittura asciutta, meditata, accurata. La sua è quindi una voce contemporanea forte e chiara.
Attenzione e sentimento
È uno scrittore fine, in cui la sapienza di scrittura non lascia trapelare la giovanissima età, quanto piuttosto rivela una piacevole e intensa padronanza della letteratura italiana, metabolizzata e tradotta in uno stile personale che intride le pagine in modo originale e distinto. Non parliamo dei vari riferimenti letterari espliciti che inserisce (colpisce l’amore dichiarato, citato e ripetuto per Natalia Ginzburg – che condivido appieno, carissimo Ghiotti! – quasi come un vanto, un segno distintivo, l’appartenenza a un modo di vedere le cose che fa capolino più volte nel testo), ma dell’attitudine a trasformare ciò che si legge, in uno stile espressivo.
Giorgio Ghiotti accalappia attenzione e sentimento con le sue parole. Le cattività domestiche, raccolta di racconti pubblicata da FVE editore, è un libro variegato in stile e storie. Lo stesso autore dice, pochi giorni prima di consegnarlo ai lettori, di dover “capire la portata del libro per lui”. Ma anticipa che la avverte come gigantesca. Ora che l’abbiamo letto, possiamo dargli ragione, e seguirlo sull’onda di questa sensazione primordiale.
Un racconto, tra tutti, che qualifica Ghiotti come ottimo narratore è Santi in laguna, per non voler citare L’appuntamento, dove la capacità dell’autore ci regala una caratterizzazione dei personaggi degna dei migliori inchiostri (menzioni d’onore anche per Agenzia matrimoniale ed Educazione milanese, nella terza porzione di libro, per il quale si rischia anche di ricorrere al fazzoletto).
Caducità e vulnerabilità
In Santi in laguna c’è tutta una visione della vita che crolla, c’è la fede, il dubbio, le certezze che si sfaldano, la debolezza umana, l’incredulità davanti al male e al dolore inaspettati. C’è la caducità (un tema che, nello spazio ristretto di questa raccolta, appare già essere molto caro all’autore), la sensazione tutta umana di scoprirsi vulnerabili di fronte alla terra che si allaga, come in questo caso, sotto i piedi. E niente tiene in quel momento, neppure la fede, neppure i Santi possono fare, almeno apparentemente, qualcosa. Il mondo, di cui fino a un momento prima ci sentivamo padroni, diventa un posto ostile, perché: “il mondo è bene vederlo in percentuale, a piccole dosi”, ammonisce l’autore. E il racconto diventa un po’ il paradigma di tutta la raccolta, con quell’atmosfera di chi vive sapendo che la vita “è un movimento di chiacchiere e passi”, come ci dirà in uno dei racconti versa la conclusione, ovvero un costante compromesso tra ciò che ci ha (de)formati e ciò che è libero da condizionamenti.
Per questo sarebbe riduttivo ricondurre la scrittura di Giorgio Ghiotti a qualcosa di già letto, sebbene proveniente da grandissimə autorə italianə o internazionalə, perché la voce dello scrittore è già ben delineata e troppo personale per essere semplicemente paragonata o ricondotta ad altre, salva la consapevolezza che molto ancora dovrà dare. È un evidente talento.
Racconti che si illuminano di luce propria
Ciò che della grande tradizione letteraria si ritrova tra le sue pagine è piuttosto la padronanza del linguaggio e degli strumenti narrativi propri del racconto breve. Una cosa che ha dell’eccezionale in questa fase della narrativa italiana nella quale ci si interroga molto sulle sorti del racconto. Bistrattato sugli scaffali per ragioni diverse e articolate, che qui sarebbe troppo lungo da esaminare, il racconto nelle pagine di Giorgio Ghiotti si illumina di luce propria e mostra i suoi caratteri essenziali con il vestito della festa. Un tripudio, per chi (come me lo ammetto sono una adoratrice di racconti brevi) si diletta nell’entrare e uscire dalle storie altrui con la velocità del pensiero e soprattutto dello sguardo che congela sentimenti e azioni dei personaggi.
Le cattività domestiche è dunque un libro che si legge con facilità non perché sia superficiale, o semplice, bensì perché la piacevolezza e l’esattezza del linguaggio e della composizione stilistica avvolgono ə lettorə conducendolə nei mondi che Ghiotti ha scelto per loro con le sue “visioni” fulminee di luoghi ed emozioni, tutti ugualmente intensi, che lasciano il segno dopo la lettura.
Non soluzioni moraleggianti…
Lo scrittore non è mai rassicurante in queste storie, non c’è un salvacondotto. È beffardo, anche, nel trattare queste cattività/ferite che ci portiamo dietro e dentro. Ma non è cinico. Piuttosto è solidale. Il mondo è un posto duro da vivere e Ghiotti lo dice, ci riflette, senza dare soluzioni moraleggianti, ma solo impulsi alla riflessione: “sono vere soltanto le storie che abbiamo il coraggio di tradire”, ammonisce.
È la buona narrativa a fare tutto questo, ed è per questo che Le cattività domestiche è un libro da leggere, perché è una buona, ottima narrativa che dimostra, in modo speculare, anche quanto la buona scrittura e il racconto siano vivi e seminino silenziosamente nella nostra tradizione letteraria e culturale attuale molto più di quanto non immaginiamo (anche di averne necessità).
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