Cinque ritratti di grandi scrittrici del Novecento si intrecciano alla vita e alla carriera di Giulia Caminito, già vincitrice del Campiello con “L’acqua del lago non è mai dolce”. In “Amatissime” Caminito evoca alcune delle sue maestre, Elsa Morante, Paola Masino, Natalia Ginzburg, Laudomia Bonanni e Livia De Stefani, finendo per condurre un’indagine intima e raccontarsi, fra dubbi, suggestioni, consonanze e coincidenze…
Se fossero cinque bignami, sarebbero cinque bignami di gran classe. Non lo sono, bignami. Piuttosto ritratti e riflessioni che, colti con un unico sguardo, con una visione d’insieme, aiutano a comprendere meglio la formazione di una giovane scrittrice, l’avventura intellettuale di Giulia Caminito (se siete finiti qui a caccia dell’ultimo de Giovanni i motori di ricerca vi hanno tirato un gran brutto scherzo), vincitrice del premio Campiello con il suo terzo romanzo, L’acqua del lago non è mai dolce (ne abbiamo scritto qui), parecchio tradotto all’estero. Travolta dal successo, Caminito, che oltre a essere scrittrice lavora come editor, ha resettato tutto con un libro che è un gioiello e l’ha portata in territori nuovi, sebbene molto intimi. Un saggio narrativo con cui entra in punta di piedi nelle vite di cinque grandi scrittrici – Elsa Morante, Paola Masino, Natalia Ginzburg, Laudomia Bonanni e Livia De Stefani, non ancora tutte adeguatamente ricordate e celebrate – legando le loro esistenze alla propria. Omaggio riconoscente a madri, antenate e maestre, e scavo interiore, sovrapposizione di vite e genealogie letterarie.
Roma al centro
In Amatissime (171 pagine, 15 euro), ennesimo libro speciale della collana “Mosche d’oro” dell’editore Giulio Perrone, Giulia Caminito evoca cinque scrittrici per cui è stata centrale la città di Roma (quella del dopoguerra, febbrile dal punto di vista letterario), la stessa che lei ha raggiunto e in qualche modo conquistato partendo dalla provincia. Racconta come Elsa Morante fosse nume tutelare di casa sua e di sua madre (Stefania Fabri, autrice di una tesi proprio su Morante, e poi scrittrice di libri per ragazzi), con tanto di gigantografia appesa a una parete e di coincidenza clamorosa: la giovane Caminito ha abitato, a Trastevere, nello stesso palazzo in cui Morante visse per un periodo. Spiega come in qualche modo si sia riconciliata con l’adolescenziale passione da disegnatrice di moda, in anni più recenti, grazie ad Album di vestiti, libro postumo di Paola Masino. Ricorda, parallelamente ai suoi primi passi in editoria, il lavoro di editor di Natalia Ginzburg – o bue muschiato come la ribattezzò Pavese – il talento nel farsi largo nella redazione quasi tutto al maschile dello Struzzo, fino a diventarne il “cervello critico”, come arrivò a definirla il fondatore Giulio Einaudi. Si immedesima in qualche modo in Laudomia Bonanni, che «si considerava messa al bando già da viva», quasi rimossa dalla memoria collettiva (anche per la vicinanza al fascismo agli esordi) nonostante lodi di gente come Montale e riconoscimenti: i primi timidi passi della scrittrice aquilana trapiantata nella capitale sono caratterizzati dalla paura di non riuscire; e il rifiuto dell’ultimo manoscritto di Bonanni finisce per rappresentare certi no dell’editoria, i libri approdati al grande pubblico dopo mille peripeziee soprattutto quelli mai nati. Incarna, infine, il futuro, proprio e della misteriosa e bella Livia De Stefani, scrittrice palermitana di successo nel secolo scorso, al cui archivio e recupero ha proprio lavorato Giulia Caminito.
Unendo i puntini
L’esplorazione di cinque grandi anime (e di altre scrittrici tutt’altro che minori), in realtà, si risolve in un’indagine intima, da narratrice e da studiosa sì, ma con sguardo personalissimo, carico di dubbi, suggestioni, spaccati autobiografici.
Quando da bambina mi chiedevano cosa volessi fare da grande rispondevo: “la scrittrice, come mia madre”. E ci sono davvero riuscita? Oppure è questo moto perpetuo di libri e festival e incontri e recensioni e scadenze che alza la polvere di un mondo finto, inesistente. Un mondo che sembra alieno alle donne scrittrici che ho amato, che loro avrebbero biasimato, da cui sarebbero fuggite.
Raccontarsi non è mai semplice, la formula ibrida di questo volume è una chiave interessante, risolutiva. Le analisi delle scrittrici amate non sono certamente esaustive sul piano biografico e critico, eppure dal punto di vista emozionale sprigionano un’esattezza e una definizione speciali. È come se unendo i puntini delle vite e dei libri di queste grandiose scrittrici del Novecento italiano, intercettando consonanze e coincidenze, sguardi comuni, paure condivise, Giulia Caminito mettesse a posto le tessere del suo puzzle, riconoscendosi, scoprendosi.
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