Un reportage che è la testimonianza di un periodo storico del nostro Paese. “La lunga strada di sabbia” è un viaggio estivo, commissionato a Pier Paolo Pasolini, da Ventimiglia alla Sicilia, a Trieste. Ammalia la poesia del lessico pasoliniano. È magia leggere, e sentire, l’empatia con i frequentatori delle spiagge che visita: Pasolini non vede ciò che lo circonda, lo vive…
La lunga strada di sabbia di Pier Paolo Pasolini misura, sulla carta, appena un centinaio di pagine.
Lo si potrebbe, è stato fatto, definire un reportage di viaggio nel quale lo scrittore ripercorre tutta la costa e le spiagge italiane, ma sarebbe riduttivo poiché questo libro è una vera e propria testimonianza di un periodo storico. L’impostazione ricorda molto, per chi lo avesse letto (merita farlo, per chi non l’avesse ancora fatto), l’altra opera pasoliniana, L’odore dell’India, nel quale l’autore racconta il viaggio e le sue “peregrinazioni umane” nel paese asiatico, visitato nel 1961 in compagnia di Alberto Moravia ed Elsa Morante. Pasolini non si concentra solo sul lato paesaggistico, bensì sulla narrazione del legame che esiste tra territorio e uomo.
Ancora una volta, come sempre in tutta la sua produzione artistica, lo scrittore è affascinato e restituisce al lettore aspetti di un profilo umano variegato. In questo lavoro, forse più che mai, fu attento alle mutazioni generate dall’incalzare dagli anni del cosiddetto miracolo italiano, il boom economico che travolse e modificò, forse definitivamente, l’atteggiamento degli italiani. Il viaggio, svoltosi tra giugno e agosto da Ventimiglia a Trieste, e pubblicato in tre puntate fra luglio e settembre, fu infatti commissionato dalla rivista Successo a Pasolini nel 1959 come specchio di un’epoca di profondo cambiamento sociale, culturale e popolare.
Toni distesi e gioia traboccante
È un libro che può sorprendere chi si approccia a Pasolini, perché i toni della narrazione sono distesi, procedono con il ritmo della scoperta di cui l’autore riesce a dare, con la consueta maestria, un’impronta precisa; ma è colto di sorpresa anche il lettore abituale di Pasolini, perché in questo libro, e lo afferma l’autore stesso, lo ripete Paolo Mauri nella bella introduzione al testo, c’è un’aura costante di serenità: “una delle rare volte in cui la gioia trabocca nelle parole e negli sguardi di un intellettuale poi spesso scomodo”.
In questo libriccino si può godere di un Pasolini straordinariamente e inusualmente sereno che scopre l’Italia ancor più bella di come già pensava che fosse, ma soprattutto scopre il Sud e ne rimane affascinato, nel bene e nel male; scopre un meridione contraddittorio, eppure coerente, con la propria Storia, politica e culturale.
Ciò che non sorprende, ma ammalia è quanta poesia pervade il lessico pasoliniano, lo sguardo.
Sembra davvero che la poesia per Pasolini sia un mezzo espressivo inevitabile. Il lettore, al di là del contenuto, è appagato da un linguaggio puro, cristallino, preciso oltre ogni limite. L’italiano poetico di Pier Paolo Pasolini è la cifra di questo autore e, senza dubbio, questo libro ne è la riprova convinta. Basti leggere la descrizione di Cinquale: “i monti della Versilia…ridenti o foschi? Ecco una cosa che non si può mai capire. Un poco folli, di forma, e inchiostrati sempre con tinte da fine del mondo, con quei rosa, quelle vampate secche del marmo che trapelano come per caso. Ma così dolci, mitici.”
È magia leggere, e sentire, l’empatia che avvicina lo scrittore ai frequentatori delle spiagge che visita: Pasolini non vede ciò che lo circonda, Pasolini lo vive e sulla carta, lo eternizza come fossero le istantanee del fotografo Paolo di Paolo che lo accompagnò in parte del percorso.
Non un mero resoconto
La lunga strada di sabbia (144 pagine, 14 euro), pubblicato da Guanda, è un viaggio inebriante, dunque, fino alla Sicilia e poi familiare sulla costa adriatica, dove la meraviglia dell’umanità e del paesaggio, ancora bucolico e selvaggio, sono tutti da scoprire, incantano Pasolini, ma si fermano in Salento.
È in questi luoghi che lo scrittore ancora si identifica e si delizia con la cultura e il paesaggio che permangono sottratti all’incipiente omologazione del consumismo e della società industriale che lui tanto temeva e che lo afflisse.
Risalita la costa e giunto a Pescara i toni della narrazione infatti cambiano, i luoghi cominciano a diventare una casa conosciuta, subentrano la dimensione del ricordo e della familiarità di chi già vi ha vissuto.
Testimone ne è la conclusione del libro, arrivato in Friuli, davanti al confine con la (ancora) Jugoslavia, in cui l’autore si lascia andare alla memoria e anche stilisticamente inserisce, per ridurre le distanze, qualche dialogo in dialetto, riecheggiando così gli inizi della sua produzione.
Una valenza indubbiamente storica, quella di queste pagine pasoliniane che non possono perciò ridursi a mero resoconto di viaggio.
Ne La lunga strada di sabbia si nasconde un racconto piacevole e visivo degli italiani che, a tratti, sembrano essere ancora gli stessi, malgrado siano trascorsi sessantatré anni, e ciò, a voler essere sinceri, non sappiamo dire se sia un bene o no.
La Calabria torturata
A questo proposito, di notevole valore è la piccola appendice al libro in cui è riportata la lettera di Pasolini, pubblicata su Paese Sera, in risposta alle critiche aspre e di matrice politica, suscitate dall’uso di alcuni aggettivi per descrivere l’atmosfera e il paesaggio calabresi nel libro.
Nei passi dedicati al tragitto in Calabria, lo scrittore si lascia andare alla sua consueta verve e vis polemica per scuotere le coscienze e far presente la reale condizione di lontananza del Meridione rispetto al resto del territorio italiano. Si avvicina così a valutazioni di carattere sociologico, definendo il territorio di Cutro, come zona di “banditi” e il Mar Jonio come “nemico, straniero e seducente” rispetto al Tirreno e all’Adriatico, mari dalla storia più “domestica”.
Si tratta, chiaramente, di un riferimento alla Storia del Sud, Calabria compresa, rispetto al quale il politico locale di turno insorge, ma la risposta dello scrittore è di raro spessore, e come di consueto, schietta, diretta. Il rimprovero è espresso a chiare lettere: “in Calabria c’è miseria, dolore, rabbia: si vive a un altro livello culturale: l’ho scritto e lo ripeto. E tutto questo è colpa delle classi dominanti che si sono succedute a torturare questa povera terra: e a cui si aggiunge la nuova borghesia democristiana conformista e ipocrita”.
Ostia e la morte
Un anticipazione di quel che sarà, neppure vent’anni dopo quell’IO SO, che potrebbe aver pagato con la vita? Purtroppo senza il conforto di un iter giudiziario chiaro, non siamo ancora in grado di dirlo a 100 anni dalla sua nascita e ormai ben quarantasette dalla sua tragica e violenta scomparsa.
La lettura del libro però lascia interdetti laddove, nell’atmosfera di cui sopra si parlava, di generale piacere e serenità del viaggio, giunto sulla costa laziale, Pasolini così la descrive: “arrivo a Ostia sotto un temporale blu come la morte”. Proprio lì, lo aspetterà, sedici anni dopo.
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