Successo di circa cento anni fa, in America, “Son of Italy” di Pascal D’Angelo è un romanzo autobiografico, che racconta l’infanzia abruzzese e il resto della vita negli Stati Uniti. L’autore si divide, da una parte, fra lavori pesanti e malpagati, condizioni di vita durissime e discriminazioni razziali, e dall’altra fra le ambizioni da poeta…
«In Abruzzo non c’è che due stagioni: l’estate e l’inverno», scriveva Natalia Ginzburg ne Le piccole virtù. Avesse dovuto riflettere sugli scrittori abruzzesi non avrebbe fatto distinzioni, non li avrebbe divisi in due metà, tutti grandi, da Ignazio Silone a Remo Rapino, da Gabriele D’Annunzio a Mario Pomilio, per non parlare di alcuni abruzzesi d’America che hanno fatto la storia. Qualche nome? Naturalmente John Fante, figlio di genitori della provincia di Chieti, come Pietro Di Donato, autore di Cristo fra i muratori (ne abbiamo scritto qui), e poi Pascal D’Angelo, emigrato negli Usa nel 1910, a sedici anni, con il padre.
Caso letterario di quasi un secolo fa
Readerforblind che ha già meritoriamente ripescato Cristo fra i muratori, ci riprova con un volume altrettanto bello e struggente, allo stesso tempo documento (d’epoca) e gran pezzo di letteratura. Casa editrice indipendente, che ha festeggiato da poco i due anni di attività, ha rispolverato Son of Italy (196 pagine, 18 euro) di Pascal D’Angelo, affidandone la traduzione a Sonia Pendola e la prefazione alla scrittrice pescarese Maura Chiulli. Un romanzo autobiografico che divenne caso letterario e spopolò Oltreoceano nel 1924, un romanzo che non smette di parlarci.
Quell’inverno fu orribile così decidemmo di tornare a New York, dove presto o tardi avremmo forse trovato un altro impiego. Nel frattempo, durante la permanenza forzata in città, cercammo di ridurre le spese al minimo. E ovviamente vivevamo nei bassifondi dove la gente malfamata è di casa.
Tra l’Abruzzo arcaico e le fatiche a stelle e strisce
Pochi soldi, sudicie stanze dei bassifondi, soprusi. L’America è, almeno inizialmente, madre tutt’altro che benevola. Racconto dell’emigrazione, Son of Italy è un’opera asciutta e profonda, scritta in inglese da un giovane che solo pochi anni prima masticava a stento l’italiano, un’opera piena di vita vera. Come vero era il suo autore, che da bimbo si divideva fra la scuola e il lavoro nei campi. Operaio e poeta autodidatta, morì a Brooklyn, prima dei quarant’anni, Pascal D’Angelo, sedotto dalla Grande Mela: non volle mai tornare in Italia, a differenza del padre, che dopo qualche anno rientrò. L’Abruzzo arcaico e magico dell’infanzia fa capolino nel romanzo scritto in prima persona, in cui il protagonista è uno spaccapietre italiano, che lavora su strade ferrate e strade d’asfalto, e soprattutto affronta come un trauma l’approccio con l’America, che riserva a operai e braccianti condizioni disumane e discriminazioni razziali: incidenti sul lavoro, cibo scadente, fatica, stenti, case minuscole, gerarchie immutabili, le pagine del romanzo ne sono piene. Come sono colme delle ambizioni letterarie dell’autore, dell’imprimatur abruzzese (popolo migrante, quello d’Abruzzo, e che crede nei sogni) e di una lingua poetica; Pascal D’Angelo, del resto, aveva iniziato scrivendo e proponendo, spesso invano, versi. La sua prosa l’ha ricondotto in libreria nel terzo millennio. Un’occasione da non sprecare per leggere quello che non è certo un fastbook.
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