Una pietra miliare degli studi su Bufalino è il saggio di Giulia Cacciatore, “La neve e il sangue. La resistenza letteraria di Gesualdo Bufalino”. La studiosa ha analizzato minuziosamente i decenni che hanno preceduto l’esordio letterario dello scrittore di Comiso e, a partire dalla minuta originale delle risposte alla prima storica intervista rilasciata a Sciascia, spiega la trasfigurazione letteraria di personaggi reali della vita dell’autore in “Diceria dell’untore”. Non è solo la malattia la scintilla di quel romanzo, ma la guerra, la Resistenza (che in Bufalino non è partecipazione attiva ai movimenti partigiani…), la nevrosi, la chiusura dei conti col passato…
Giulia Cacciatore è una valentissima studiosa dell’università di Catania che ha scritto una pietra miliare per la critica delle opere di Gesualdo Bufalino, scrittore imprescindibile del Novecento italiano; sulla sua figura – complice probabilmente il centenario della nascita – hanno ripreso vigore le ricerche e quella condotta da Giulia Cacciatore è di primissimo piano. Il suo lavoro si è trasformato in un volume, che è stato accolto nel catalogo dell’editore Corsiero, con titolo tratto da Calende greche: La neve e il sangue. La Resistenza letteraria di Gesualdo Bufalino (197 pagine, 21 euro). Una studiosa che diventa “archeologa” della vita e delle opere di Bufalino, nei parecchi decenni che precedettero il suo debutto per Sellerio, Diceria dell’untore, ormai da tempo uno dei più preziosi tasselli del catalogo Bompiani. Giulia Cacciatore consulta carte inedite o poco conosciute, intervista figli di sopravvissuti della seconda guerra mondiale e fa in fretta ad arrivare a un convincimento, figlio di un ottimo punto di partenza. Quale? L’originale minuta, in fogli dattiloscritti, delle domande in risposta alla storica intervista che Bufalino concesse a Sciascia per L’Espresso, poco prima del lancio in libreria del suo esordio. Un piccolo tesoro, con sequenze inedite, che appartiene da tempo alla Fondazione Bufalino di Comiso.
… appariva chiaro, invece, che lo scrittore avesse trasferito nel chiuso del sanatorio della Conca d’oro di Palermo, persone ed eventi legati alla sua esperienza della guerra, e non solo della malattia, come aveva insistentemente dichiarato nelle interviste rilasciate nel corso della sua carriera. Ma chi erano quelle persone cui Bufalino accenna nella minuta? Chi incontrò Bufalino a Scandiano e Reggio Emilia?
Reggio Emilia, più che Palermo…
Più che al sanatorio palermitano è all’ospedale Magati di Scandiano che Diceria dell’untore deve molto. E c’è un’imponente Rocca anche a Scandiano, non solo nella zona di Palermo dove verosimilmente è ambientato uno dei capolavori di Bufalino. Al capoluogo siciliano, mai citato esplicitamente, in qualche modo si sovrappone Reggio Emilia. Non un gioco letterario, con pochi cenni autobiografici, e dosi massicci di personaggi fittizi e vicende di assoluta invenzione, come Bufalino assicurava a più riprese, «per eludere interpretazioni esegetiche troppo legate alla sua vita privata». Piuttosto «l’esito conclusivo di un lungo percorso di elaborazione emotiva e psicologica delle terribili vicende che segnarono il giovane Bufalino». Ovvero esorcizzare e chiudere i conti con quel passato. Non era solo la tisi il motore immobile di Diceria dell’untore. C’erano di mezzo anche la Guerra e la Resistenza, e una nevrosi di fondo che tornerà in almeno un altro paio di suoi libri. Attraverso tante interviste la strategia comunicativa dello scrittore comisano, però, portava interlocutori e lettori altrove, spostava l’attenzione sulla sua scrittura, occultando «la memoria privata dell’uomo».
Disertore e antifascista
Giulia Cacciatore, però, non ha tralasciato nulla. I suoi appigli sono stati dettagli non trascurabili, fogli matricolari dell’esercito, registri delle biblioteche, corrispondenza, foto, versi giovanili. Il viaggio nel tempo della studiosa cattura in particolare un nugolo di soldati siciliani sbandati, “prigionieri” dell’Emilia occupata, «ostaggio dei tedeschi e della neonata Repubblica di Salò». Da disertore Gesualdo Bufalino si nascondeva nelle campagne di Scandiano, da dove farà esperienza indiretta di atrocità e deportazioni, che restano in filigrana in Diceria dell’untore e anche in Calende greche. Pur non abbastanza impavido e temerario da unirsi a qualche rete clandestina di partigiani, l’antifascismo di Bufalino non vacillò mai. In una lettera in codice con un carissimo amico, Angelo Romanò, che in futuro sarebbe diventato dirigente editoriale e televisivo, spiega: «Naturalmente, anche dopo le ultimissime pubblicazioni, io sono rimasto fedele ai miei poeti».
Incontri, libri, idee
Giorni non spensierati, ma in qualche modo lieti – tra lezioni in una scuola media e ripetizioni private – in cui il futuro scrittore avrebbe avuto modo di incrociare Silvio D’Arzo, Nilde Iotti e Giorgio Prodi (poi oncologo e scrittore, fratello di Romano) e uomini e donne con cui Bufalino scambiava libri e idee. E un grande amore, forse il solo mistero di cui l’autrice non riesce a venire a capo, pur facendo tante ipotesi a proposito della donna, o forse di più donne che hanno ispirato l’immortale personaggio di Marta. Cacciatore sa indagare gli anni prima della notorietà editoriale di Bufalino con rara delicatezza ma grande precisione: è la storia del riemergere di una giovinezza amputata, di un fortissimo esaurimento nervoso, datato 1956, e di una suggestiva conclusione.
… il romanzo d’esordio di Bufalino può essere accostato per i contenuti (reconditi) che veicola, ai grandi libri appartenenti alla letteratura resistenziale, quelli cioè di Fenoglio, del primo Calvino, di Pavese, di Primo Levi.
Quella di Bufalino, sappiamo oggi, fu una “Resistenza letteraria”, non combattuta tra gli Appennini e la città di Reggio, ma tra l’oblio del tempo e il recupero della memoria…
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