Il palermitano Davide Ficarra torna con “Palazzo Leoni”, una raccolta di racconti sul filo della nostalgia, genuini e autentici, ambientati nel popolare quartiere del Villaggio Santa Rosalia: micromondi di grande umanità, narrati con una prosa semplice, arguta ed espressiva
Palermo può essere raccontata attraverso la sua storia, attraverso la sua bellezza artistica e monumentale, ma la vera essenza, la natura più profonda e autentica della città si nascondono dentro l’esistenza e la vita della gente che ci abita. Raccontare la vita dei palermitani vuol dire raccontare Palermo e solo chi nutre un grande amore, un’immensa passione per la città, può riuscire a penetrare e descrivere tale natura, come Davide Ficarra che torna in libreria con una raccolta di racconti, Palazzo Leoni (132 pagine, 15 euro), pubblicata dalla casa editrice Arkadia.
Un quartiere, le virtù e le debolezze
Ancora una volta, l’autore sceglie di ambientare il suo libro al Villaggio Santa Rosalia, uno dei quartieri popolari di Palermo. I racconti intersecano, come fili che conducono ad uno stesso gomitolo, l’esistenza degli abitanti di Palazzo Leoni, un condominio degli anni Sessanta del Novecento: il gomitolo aggrovigliato dell’umanità «che rispecchia fedelmente tutte le nostre virtù e debolezze» e si dipana in sei diverse storie, a tratti surreali e grottesche, in cui emergono tutte le contraddizioni di un quartiere palermitano che, in realtà, può ben essere il quartiere di qualsiasi altra città. Da qui, la facilità di immedesimarsi in questi racconti, forse anche con un po’ di nostalgia: chi di noi, infatti, non ricorda con un pizzico di malinconia i giochi di “quartiere” dell’età fanciullesca, quando con tutta tranquillità ci si poteva ritrovare in strada per esplorare quel piccolo mondo che si racchiudeva in poche strade e conquistare spazi, avventure e segreti. E ciò a cui si è spinti a riflettere leggendo, per esempio, il capitolo di Le guerre dei vastasi, tribù di giovani del quartiere che si scontrano per la “conquista” del territorio e hanno a che fare con l’irruenza di un’età delicata: Palazzo Leoni è abitato da diciotto famiglie e da tanti bambini che giocano insieme «e quasi tutti quelli compresi tra i sette e i dodici anni fanno parte della tribù del fabbricato, un brigata numerosa e composita, in guerra o in alleanza con altre tribù del quartiere».
…ma il fabbricato in questione tuttavia il suo nome altisonante lo deve alle statue in terracotta di due leoni che sormontano i pilastri di mattoni rossi all’ingresso del vialetto che precede la portineria
Altri leoni di Sicilia
Forse, la scelta di ambientare i racconti negli anni sessanta/settanta del secolo scorso non è del tutto causale: viene spontaneo meditare sulla genuinità dei rapporti tra abitanti di uno stesso condominio che è andata persa, lasciando spazio all’indifferenza nei confronti del prossimo. A Palazzo Leoni, diciotto famiglie, tra simpatie e antipatie personali, tra contraddizioni e pettegolezzi, condividono la fama conquistata nel tempo dal fabbricato, di cui vanno profondamente orgogliosi, e «un po’ leoni e un po’ leonesse, in questa giungla che è il loro quartiere, lo si sentono veramente».
Ipazia Mazzara, Sabrina Monteleone, l’albero di pompelmo e l’albero di Natale che scompare dalla portineria, le sorelle Colombo, così diverse l’una dall’altra, ma che riescono a trovare un equilibrio stabile dentro lo stesso appartamento: sono storie frutto di immaginazione ma in cui ciascuno di noi può rispecchiarsi, forse anche riconoscersi.
Taverne e condomini
«Sono le taverne le fondamenta solide su cui si costruiscono le città, sicuramente sono le fondamenta su cui si è costruita Palermo che, tra i fumi alcolici scadenti del suo vino adulterato, trama e complotta, indaga e rivela, comanda e ubbidisce», scrive Ficarra nel racconto Il Bolero della cameriera. Potremmo spingerci ad affermare che sono i condomini dei palazzi le fondamenta della città: in quel micromondo c’è tutta l’umanità. Nell’ascensore di Palazzo Leoni rimbalzano storie e pettegolezzi che, piano dopo piano, si arricchiscono di particolari più o meno inventati al punto che una storia partita dal primo piano non sarà mai la stessa di quella che arriverà all’ottavo.
I racconti di Ficarra sono genuini, autentici e con una prosa semplice, ma arguta, ritmata, espressiva e precisa, l’autore ci fa dono di quel senso di appartenenza e amore per la città di Palermo che in qualche mondo sfata il “mito” del palermitano che non riesce ad essere “profeta in patria”.
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