A lungo fuori catalogo, torna in libreria “La fornace” di Thomas Bernhard: un’opera in cui lo scrittore austriaco mette a punto la sua voce e la sua prosa, con quei, già riconoscibili, lunghi periodi e ripetizioni senza requie, fra nevrosi e turbamenti psichici. Denso di autoreclusione, distruzione, autodistruzione e incomunicabilità. È la vera origine del suo instancabile e inconfondibile flusso di frasi…
I mercatini dell’usato e certe pagine on line, magari anche social, per rintracciare la vecchia e quasi introvabile edizione Einaudi. Per leggere La fornace del genio austriaco Thomas Bernhard negli ultimi anni bisognava regolarsi così. Andare a caccia nei posti giusti. E magari spendere anche qualche soldino di troppo, per regalarsi quella che veniva considerata una rarità. Mosse che resteranno prerogative dei collezionisti. Chi si “accontenta” di una magnifica lettura e di una nuova splendida edizione in commercio volgerà lo sguardo verso La fornace (225 pagine, 19 euro) nella veste proposta da Adelphi, sebbene la traduzione sia comunque quella di Magda Olivetti, pubblicata dallo Struzzo, prima nel 1984 e poi ristampata nel 1991.
Quell’Austria comica e disperata
Tormentato, difficile e riservato, scomparso da più di trent’anni, «distruttore di storie» per autodefinizione, Thomas Bernhard è ormai assurto nel firmamento degli imprescindibili del ventesimo secolo, con una serie di libri che fanno gridare al miracolo letterario. Uno di questi è appunto La fornace, pubblicato nel 1970, uno dei suoi primi romanzi, eppure maturo e compiuto, con quei, già riconoscibili, lunghi periodi e ripetizioni senza requie, fra nevrosi e turbamenti psichici. Denso di autoreclusione, distruzione, autodistruzione e incomunicabilità, alcuni dei cardini del suo sguardo sul mondo e della sua prosa feroce, perfidamente gelida e imperturbabile, senza sconti per quasi tutti. La violenza di un femminicidio, anzi più precisamente di un uxoricidio, irrompe nella produzione di Bernhard e nella sua solita Austria, inetta, amaramente comica, disperata: alla vigilia di un Natale, sotto i colpi di una carabina (pare che Bernhard ne tenesse una accanto al letto, mentre dormiva…), per mano del consorte, cade la moglie paralizzata di Konrad, che dopo il delitto si nasconde in fondo a un pozzo, lì sarà trovato quasi assiderato dalle forze dell’ordine; è l’epilogo di una vicenda amarissima, del tentativo di rifiutare il mondo e autoesiliarsi dalla società dei consumi e da quello, non riuscito, dello stesso Konrad di scrivere un saggio, per lui fondamentale, sull’udito. Il racconto, riportato dal punto di vista di un assicuratore, è affidato anche a un paio di individui di quel villaggio, Sicking, Fro e Wieser proprietari terrieri o frequentatori di locande e taverne: vari punti di vista, dichiarazioni frammentarie, indiscrezioni puntellate dal condizionale, pettegolezzi
Fraintendere più che comunicare
La fornace di calce che dà il titolo al romanzo è u««n edificio degradato che il protagonista ha sempre, ossessivamente, desiderato e finisce per comperare, pur andando in rovina: un luogo, la vecchia fabbrica abbandonata, che diventa un po’ casa e un po’ prigione, metafora di un Paese infelice e in sfacelo, di una coppia che si disintegra, di una psiche desolata; un luogo che fa il paio con un libro, che Konrad ha chiarissimo nei suoi pensieri, ma non riesce a trasferire sulla pagina, un saggio sull’udito, che è prioritario su tutto, per cui costringe la moglie a un martirio fatto di esperimenti ed esercizi d’ascolto snervanti, spossanti. Il grottesco di Bernhard, in pochissimi altri suoi libri come questo La fornace, tende in egual misura alla commedia caustica e al nichilismo puro. Non c’è un giallo da risolvere, semmai un passato da indagare, quello dell’eccentrico Konrad, con le ragioni della sua instabilità mentale, e della moglie costretta sulla sedia a rotelle: lei chiede che le si legga Novalis, il marito insiste col proporle pagine del filosofo anarchico Kropotkin.
La misteriosa bellezza
È un’indagine inquietante, che turba, che fa apparire inevitabile e al contempo inspiegabile (senza esplicite ragioni) il fatto di sangue con cui si apre il libro. Ed è l’ennesima opera di Bernhard che si regge pressoché sulla lingua, imbastita su una scrittura capace di esasperare e trascinare, che fraintende più che comunicare. Nella produzione dello scrittore austriaco (non avrebbe gradito essere definito così, per atteggiamento in vita e parole di fuoco nel testamento…) La fornace è una chiave di volta, decisamente e definitivamente in direzione del monologo come modalità narrativa, un flusso instancabile, una voce inconfondibile che può fagocitare il lettore non avvertito. La misteriosa bellezza di Bernhard che non smette di ammaliare…
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