Un’eroina dolente che vive in una bolla oltre la morale e i rimorsi, in un cosmo ego-centrato. Clara, protagonista de “La sparizione” di Saul Bellow è un affascinante enigma che racchiude in sé tanta magnifica imperfezione. Una regina di cuori disarmata di fronte all’unico uomo che sente per lei un’attrazione irresistibile ma sfugge al suo pieno controllo… Nuova puntata della rubrica Area 22 (qui le altre puntate)
Come si cambia per non morire, come si cambia per non soffrire, come si cambia per ricominciare. Chi appartiene almeno alla generazione degli anni ’70 riconoscerà immediatamente i versi di una delle canzoni più struggenti magistralmente interpretate dalla personalità camaleontica di Fiorella Mannoia. Il titolo del libro di Saul Bellow, La Sparizione (98 pagine, 14 euro), edito da Mondadori, nella traduzione di Masolino d’Amico, trae furbescamente in inganno il lettore, soprattutto chi non sia avvezzo al proverbiale umorismo yiddish. Bellow tiene però superbamente fede alla motivazione per cui venne meritatamente (non sempre ahimè queste attribuzioni corrispondono a talenti così cristallini) insignito del premio Nobel per la letteratura nel 1976: “Per la comprensione umana e per la sottile analisi della cultura contemporanea che sono combinate nel suo lavoro”.
Lo stile di Bellow è schietto, diretto, ma mai eccessivo o volgare e la disamina dei topoi umani è lucida e disarmante. Nessuna indulgenza per i personaggi femminili e men che meno per quelli maschili, che ne escono un po’ con le ossa rotte. Persino il James Bond della situazione, il seduttore incallito al cui fascino è impossibile sottrarsi, alla fine altro non è che il più banale dei Vronskij, senza però quell’aura maledetta che tanto piace alle donne.
Fuori dal letto nessuna pietà
Raramente mi sono imbattuta in un personaggio tanto singolare quanto Clara, la protagonista del romanzo. Un po’ eroina da tragedia greca, un po’ icona femminista, ma soprattutto un affascinante enigma.
Clara è quel prototipo di donna alla cui malia per un uomo è difficile resistere, poiché possiede un fascino magnetico che sbaraglia qualunque concorrenza. Pur non potendosi definire bella secondo effimeri canoni estetici convenzionali, non esiste Perseo capace di aggirare il suo sguardo pietrificante. Come una moderna sirena newyorkese l’insondabilità del suo canto ammaliatore la rende assolutamente irresistibile. Commistione perfetta fra stile e aria ruspante da eterna figlia della provincia americana, sorvola con aria sorniona su tutti i più elementari principi che regolano i rapporti matrimoniali. Ad un certo punto ho dovuto ricordare a me stessa che fosse soltanto la riuscitissima protagonista di un romanzo, perché continuavo a chiedermi come fosse possibile che una sola donna potesse racchiudere in sé tanta magnifica imperfezione. Questo è l’effetto de La sparizione, un coinvolgimento ipnotico in una storia inusuale.
Quello che le donne non dicono
La regina di cuori del romanzo di Bellow si rivela però disarmata di fronte all’unico uomo che, nonostante (o forse proprio per questo) senta per lei un’attrazione irresistibile, sfugge al suo pieno controllo. Si gioca qui, dentro e fuori lenzuola che bruciano di estasi e tormento, l’eterna battaglia fra i sessi, dove, almeno in apparenza, vince chi fugge di fronte a un amore che consuma senza ardere mai sino in fondo.
In questo universo parallelo, lontanissimo dalla mia insopprimibile sete di certezze, non è necessario scegliere fra Anna Karenina e la meravigliosa Melania di Via col vento (immagino di essere l’unico esemplare femminile che consideri la dolcissima e al contempo determinata moglie di Ashley come colei che ha scelto per sé la parte migliore, poiché ama senza condizioni). In questo microcosmo dei desideri realizzati ma mai appagati, uomini e donne si incontrano e si scontrano alla pari e i dolori di una tragicamente eterna Silvya Plath, rinchiusa fino alla fine dei tempi nella sua Campana di vetro (leggetelo questo capolavoro) sono echi lontanissimi.
Saul Bellow evidenzia senza accentuarla la discrasia profonda presente nella condizione di Clara, emancipata ma schiava di sé stessa, libera di amare chi vuole ma succube di un sentimento che la domina, donna forte dalla fragile femminilità.
È tutto un equilibrio sopra la follia
È come se fra le righe de La Sparizione Clara non potesse, o non volesse, raggiungere la felicità, come se rifuggisse ogni reale appagamento, come se fosse completa soltanto rispecchiandosi nel ghiaccio bollente delle sue taglienti contraddizioni. Madre a metà, moglie a metà, amante a metà … Clara è una funambola sul filo della sua esistenza, ed è la donna che (quasi) tutte le donne sognano di essere, almeno per un minuto di riscatto dalla banalità del talamo quotidiano, ma che quasi mai hanno il coraggio di diventare (con buona pace di Melania).
In questo turbinio di emozioni che si rincorrono Clara però non è felice, perché per l’unico uomo che ama con ogni fibra inquieta del suo essere lei rappresenta nient’altro che una malattia, da cui vorrebbe guarire ma senza cui non riesce più nemmeno a respirare.
La nostra eroina dolente e fiera vive al di là del bene e del male, sospesa in una bolla oltre la morale e i rimorsi, in un cosmo ego-centrato, nell’attesa vana di un gesto che la porti dritta al cuore di chi la insegue sfuggendola.
Alla fine Bellow ha avuto un sussulto di compassione verso quest’anima irrisolta aprendo uno spiraglio al suo riscatto. Clara non riesce a trovarsi in nessun luogo, finché non comprende che l’unico posto in cui può specchiarsi sono gli occhi che lei stessa ha partorito, dal fondo della sua anima, ancor prima che dal suo ventre.
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