La morte della compagna G. e il riverbero costante del lutto non hanno ancora esaurito l’influenza sulla nuova vita di Claudio, protagonista di “Vite mie”, romanzo di Yari Selvetella, che somiglia moltissimo alla voce narrante del suo memoir “Le stanze delll’addio”. Momenti, atmosfere, ricordi, divagazioni si susseguono in una lingua curata ed elegante. Come setacciare l’anima oltre i dubbi e le paure…
A suo tempo avevo letto Le stanze dell’addio (ne abbiamo scritto qui), un memoir sentimentale ma senza sentimentalismi, di totale onestà e autenticità, un cambio di rotta per lui che, giornalista e sceneggiatore, si era in precedenza occupato principalmente di criminalità romana. Yari Selvetella aveva fatto così irruzione fra le mie letture. Poi ci siamo persi di vista, ho accuratamente evitato il romanzo successivo, Le regole degli amanti. Non ero ancora pronto per riprende a confrontarmi con la sua prosa e probabilmente la storia prefigurata nelle bandelle non mi ha incuriosito più di tanto. Adesso ho invece colto al volo la possibilità di leggere il suo ultimo romanzo. L’ha pubblicato Mondadori e il suo titolo, Vite mie (252 pagine, 18,50 euro), mi ha folgorato e convinto che dovevo in qualche modo tornare a confrontarmi con quello che mi sembra un vecchio amico.
Lottare contro i ricordi e contro l’amore
«È la tragedia di amare, non si può amare niente più di quello che ci manca», scrive Jonathan Safran Foer in Molto forte, incredibilmente vicino. E forse questo è un punto di partenza coerente con le nuove pagine di Yari Selvetella. È una lotta contro i ricordi, quella che conduce Claudio Prizio, protagonista di Vite mie, per nulla distante da chi si raccontava ne Le stanze dell’addio. A un certo punto è anche una lotta contro l’amore, che andrebbe maneggiato con cura, «il sentimento che ha mosso i gesti più meschini e gli slanci più puri della mia vita». C’è un passato, con le sue ombre, da scordare, da accantonare, ma è un tempo che torna a tormentarlo nella quotidianità che ha preso il sopravvento, quella fatta da dinamiche nuove, una famiglia allargata in un appartamento in via del Colosseo. Comprendere questo tempo può essere la chiave di volta di tutto. Intanto, però, Claudio confessa: «Non so più amare… non è che non ami più, anzi amo molto, è che non sono più in grado». Affastella riflessioni e si scava dentro, muovendosi in una comunità familiare non convenzionale (Agata, la nuova compagna, la loro figlioletta Micol, Nico, il figlio avuto dalla ex compagna, G., morta di leucemia, e altri due figli, Carlo e Tiziano, che lei aveva avuto da due uomini diversi).
Nulla è scontato, perché ogni cosa è gratuita, non sorge da contratti, da convenzioni sociali, da retaggi, tutto è scelto, da parte di tutti, sempre.
È un modello alto di amore famigliare che sfida il tempo e gli addii.
Ragione e consapevolezza dello scrivere
Qualcosa però si inceppa. È questo il nodo con cui Claudio e il suo autore alter ego Yari Selvetella fanno i conti. Provano a setacciarsi, a esplorarsi, oltre piccoli e grandi dubbi, oltre la paura.
In generale sono diventato più bravo ad accorgermi di quello che provo e molto meno bravo a dare seguito ai propositi che derivano dai sentimenti: l’amore pretende efficienza e io non sono più un bravo esecutore. Credo di riuscire, in un modo o nell’altro, a dare l’impressione di essere quello di sempre, ma sento che non è così.
Non si susseguono particolari eventi, più che altro quotidianità spicciola, a cominciare dalle colazioni da preparare. Il romanzo si dispiega in riflessioni a proposito della memoria e dell’identità, del senso della famiglia e della sua famiglia, che si è nutrita in abbondanza sia di lutti che di gioie. Momenti, atmosfere, ricordi, divagazioni, più che reali episodi narrativi si dipanano, emergono grazie a una lingua curata ed elegante. Yari Selvetella mette decisamente da parte le arti del cronista e sposa la letteratura, non i fronzoli e gli imbellettamenti ma la pienezza di ogni singolo vocabolo, e anche certe riflessioni sul senso, sulla ragione e sulla consapevolezza della scrittura.
Un “curioso rituale”
Ciò che si insinua nelle sue certezze e alimenta stanchezze e perplessità a proposito della capacità di amare davvero è il riverbero costante del lutto. La morte della compagna G. non ha ancora esaurito l’influenza sulla vita di Claudio.
Il tempo riduce l’estensione del dolore ma ne aumenta il peso specifico.
E allora, per esorcizzare e sconfiggere il tarlo che si insinua e continua a togliere il fiato, Claudio si inventa, zaino di un figlio alla mano, un curioso “rituale” che, oltre alla ricerca di un nuovo appartamento, lo conduce in giro per la città di Roma, dove gli capita di incontrare sconosciuti in cui di volta in volta si rivede… Regalatevi una storia di grande umanità e di assoluta onestà intellettuale, regalatevi vite che potrebbero essere le vostre.
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