Da Matteotti a Pasolini, Bortolozzo esordiente… rimandato

“I vermi grigi” di Francesco Bortolozzo sembra più una sceneggiatura che un romanzo: intricata e intrigante, ma dal finale troppo repentino. Un libro costruito su tesi alternative che spiegherebbero il delitto Matteotti, collegandolo in qualche modo a Enrico Mattei e al presunto capitolo scomparso di “Petrolio” di Pier Paolo Pasolini…

Il complottismo è la riscrittura di un evento senza alcuna ombra di mistero. Perché il mistero, il non saputo c’è di mezzo, quando di mezzo c’è la realtà, sempre troppo complessa perché sia in ogni suo aspetto chiara. Per questo la storia sulla morte di Giacomo Matteotti, il deputato del Partito Socialista Unitario ucciso nel 1924, può essere rivista senza cadere nel complottismo, allargando, e non restringendo, la trama delle responsabilità. 

Il re accondiscendente

Chi rapì e uccise il deputato socialista è ormai acquisizione storica: il 10 giugno del 1924, alle ore 16.30 Matteotti viene rapito da una squadraccia comandata da Amerigo Dumini. Il corpo verrà ritrovato due mesi dopo nei pressi del comune di Riano. Il fascismo viene travolto dalle proteste, si rompe quel consenso che aveva visto cooperare anche elementi liberali e cattolici, e Mussolini vive momenti di profonda prostrazione, perché teme che la sua creatura e, soprattutto, il suo governo siano giunti alla fine. Il 3 gennaio del 1925, in un teso discorso alla Camera, si assume «la responsabilità politica, morale e storica», e da quel momento il fascismo si avviò verso la costituzione di un regime autoritario: di quell’anno e dell’anno seguente le leggi liberticide che sancirono la fine dell’Italia liberale. Il re accetta. Accetta supinamente. Accetterà anche le ignominiose leggi razziali, la sprovveduta entrata in guerra nel secondo conflitto mondiale – eppure si sapeva che il regio esercito non poteva essere pronto prima del 1943 – e soltanto quando il Gran Consiglio, l’anima del Fascismo, sfiducerà il duce, solo allora il re si deciderà a estrometterlo dal potere. Perché tanta accondiscendenza? Forse perché Mussolini lo aveva salvato da uno scandalo?

Piste petrolifere

I vermi grigi (324 pagine, 18 euro), il primo romanzo di Francesco Bortolozzo, edito da Alter Ego, esce in questo 2022, ed è come se ci indicasse la sua anima, perché quest’anno cade il centenario della Marcia su Roma, ma anche quello della nascita di Pier Paolo Pasolini. E fascismo e Pasolini sono uniti da un filo che Bortolozzo individua nell’Affaire Sinclair. La Sinclair era una ditta americana facente parte del consorzio Anglo Persian Oil, e che con un regio decreto legge, il 677 del 4 maggio 1924, ricevette molto celermente la possibilità di sfruttare il petrolio italiano. E fin qui sembrerebbe una ben poco strana storia all’italiana – una di quelle che ricorderebbe la tanto facile venalità italica di giugurtina memoria. La questione si complica, però, se pensiamo che Matteotti sarebbe stato ricevuto in Inghilterra, in quanto massone, dalla loggia The Unicorn and the Lion, e qui avrebbe appreso dell’esistenza negli uffici della Sinclair di due scritture private: una con la quale Vittorio Emanuele III sarebbe stato fatto entrare nell’azionariato dell’azienda nel 1921 senza sborsare una lira, e la seconda nella quale il re si impegnava a far restare il più possibile celati possibili giacimenti di petrolio in Libia, la quale, a questo punto, neppure all’epoca era da considerarsi uno «scatolone di sabbia». 

La tesi, dunque, secondo la quale dietro la morte del deputato socialista ci sarebbe il petrolio e il re, e non tanto i brogli elettorali (del resto abbastanza evidenti già all’epoca) e Mussolini (ma il Fascismo sì), non è suffragata solo dall’autorità di De Felice, che ha sempre creduto poco alla mano mussoliniana, ma anche da quando scrive Marcello Staglieno in Arnaldo e Benito. Due fratelli (Mondadori, 2003), che cita come fonte, a sua volta, Matteo Matteotti, figlio di Giacomo, che di questa storia ha parlato fin dal 1985. 

L’idea c’è, la tecnica è da venire

Una vicenda che merita la discussione e il condizionale che l’accompagna, ma su cui Bortolozzo costruisce la trama, mettendoci pure Enrico Mattei e il presunto capitolo scomparso di Petrolio di Pier Paolo Pasolini. Una trama intrigante e intrigata, suddivisa in 47 capitoli che si susseguono come le scene di un film, e la cui scrittura, in effetti, è quella del cinema, arte sulla cui storia l’autore si è laureato al Dams di Padova. Una sceneggiatura, però, non è un romanzo, e per supportare il continuo cambio di scena presente in questo, Bortolozzo avrebbe dovuto essere John Grisham, usare di più i dialoghi e soprattutto svelare pian piano, e non lasciare tutto negli ultimi due capitoletti. Si sa però, che il primo libro lo si scrive per scrivere meglio il secondo. L’idea c’è, la tecnica è da venire. 

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