Una scrittura olfattiva, visiva, tattile, una scrittura dei sensi, iper ricettivi, acuiti dall’approssimarsi della morte ne “Lo champagne di Cechov”, ultimo libro di Sergio Nelli, morto lo scorso marzo. Un volume autobiografico, senza un vero svolgimento, né un finale, fitto di ricordi, in cui conta la qualità estetica della scrittura, la bellezza del racconto, dell’analisi, dell’introspezione…
Sergio Nelli, semisconosciuto (ahinoi) scrittore toscano di Fucecchio, se ne è andato lo scorso marzo dopo una vita spesa nell’editoria e nella scrittura alla quale si dedicherà a tempo pieno dopo un trascorso di studi filosofici ed aver insegnato nei licei delle sue terre. Tra i fondatori della rivista Primo Amore, dalla cui esperienza si deve ritenere essere nata l’amicizia con Antonio Moresco, il quale nel volume di cui qui si parla gli dedica la postfazione che è un appassionato omaggio a uno scrittore raffinato e inclassificabile, nonché un commovente ricordo dell’amico scomparso, si congeda con un libro, Lo champagne di Cechov (123 pagine, 12 euro) per Amos edizioni, che può essere considerato il suo testamento letterario.
Un memoir al cospetto della morte
Quello che è forse il testo più convenzionale all’interno della sua produzione, tra i suoi volumi vi sono racconti e romanzi che giocano tra la sostanza narrativa e la materia esistenziale di una prosa a metà strada tra poesia e pensiero, testi ibridi come Ricrescite (pubblicato per la prima volta nel 2004 da Bollati Boringhieri e riproposto da Tunuè nel 2018) può sinteticamente essere definito un memoir o l’autobiografia di un uomo al cospetto della morte. All’età di cinquantadue anni l’autore di questo prezioso libriccino che Moresco non esita a elogiare in apertura della sua postfazione: «Che libro incantevole ha scritto il mio amico Sergio Nelli prima di crepare!» si trova a fare i conti con un destino potenzialmente ineluttabile: «Avevo cinquantadue anni e una malattia di cui si poteva morire. Il padre Cronos dopo l’atto cannibalesco, mi avrebbe vomitato, rigettato ed espulso come un atomo». «Il dottore, dietro mia richiesta, aveva risposto che sì, di questa malattia si poteva anche morire». Quest’ultima la seconda frase del libro di Sergio Nelli, dopo l’incipit diversamente ma altrettanto folgorante: «La pioggia forte aveva sfasciato le vigne sotto la finestra dell’ospedale».
Riferimenti tolstojani
Sergio Nelli è stato anche filosofo prima che narratore e la sua narrativa è ricca di pensiero e di filosofia. «È per tutti un mistero. Colui che si dedica completamente alla filosofia non aspira ad altro se non a prepararsi alla morte e a morire». Così Platone nel Fedone. In questa sua ultima prova sembra di ascoltare la voce di Ivan Iljc, l’antieroe tolstojano che cadendo da uno sgabello e con quel dolore prima inafferrabile poi sempre più pressante vede rivelarsi di fronte a sé l’amaro destino (destinazione) e le conseguenti riflessioni su quella che è stata la sua esistenza. I riferimenti tolstojani non possono essere considerati un caso se è vero che uno dei due esergo al volume è costituito da un giudizio (non troppo lusinghiero) dell’autore di Anna Karenina su un altro gigante delle lettere russe, l’Anton Cechov di cui al titolo.
I ricordi prima della fine
La riflessione sulla morte ha un ruolo preponderante in tutte le riflessioni filosofiche, le religioni e anche in tanta letteratura. Essa è la convitata di pietra del libro di Nelli e dà il via ai ricordi dell’autore. Possono questi essere considerati in modo sinottico la base del romanzo? memoir? autobiografia? (ne potremmo discutere a lungo). La minacciosa e incombente presenza della morte dà la stura ai ricordi ma anche alla speculazione filosofica, con tutte le sue contorsioni e avvitamenti: «Così la continua apparizione del caso nei miei progetti non può essere colta solo come mia possibilità, ma, al contrario, come annullamento di tutte le mie possibilità, annullamento che non fa più parte delle mie possibilità. Così, la morte non è la mia possibilità di non realizzare più una presenza del mondo, ma è un annullamento sempre possibile dei miei possibili, che è al di fuori delle mie possibilità. Così Sartre». Semplice no?
Quella di Nelli è (soprattutto in questo caso) una scrittura “personale”, sulle onde della memoria della sua esistenza, nonché del presente narrativo (ciò di cui parla il libro in presa diretta), ma affidabile o meno che sia questa memoria, quello che conta è il valore estetico della scrittura. La bellezza del racconto, dell’analisi, dell’introspezione diventano – attraverso l’arte – una forma allo stesso tempo unica e universale, sebbene parziale della condizione umana. Senza qualità estetica la scrittura di memoria non funziona. E quella di Nelli apre al lettore un mondo intimo nel quale, in un modo o nell’altro, finisce per identificarsi.
La morte, che sembra guardare il narratore dallo spioncino concedendogli un ultimo sprazzo di speranza, e chissà, forse di possibilità di redenzione, non fiacca il suo amore e la sua celebrazione della vita. Il titolo del resto è il riferimento alla celebre frase di Cechov. Sul letto di morte nella sua camera di albergo nella località termale tedesca dove si trova, il grande autore russo accetta l’invito del suo dottore e beve insieme allo stesso e a Olga un bicchiere di champagne dicendo: «È tanto tempo che non bevo più champagne». Poco dopo Cechov muore.
La vacanza a Baratti
La possibilità che sembra darsi al protagonista-autore di Lo champagne di Cechov, trattandosi di uno scrittore, è quella di poter ancora scrivere. Si ritira per una vacanza solitaria e fuori stagione (è giugno) al Golfo di Baratti, buen ritiro balneare di molta media borghesia toscana (soprattutto fiorentina), località già nota dal punto di vista letterario per essere parte dello sfondo al romanzo Premio Strega di Sandro Veronesi Il Colibrì. L’autore sembra fare come quegli animali feriti che vanno a morire nascondendosi in un antro o dentro un cespuglio. La vacanza a Baratti dà il via a un impetuoso fluire dei ricordi, il passato arriva come un’onda, vivido e nostalgico, innescato da vicende minime con la forza di potenti madeleine. Non è solo una scrittura riflessiva quella di Sergio Nelli a cavallo tra presente e passato e celebrativa del sapere e della memoria: in un riferimento dantesco l’autore ci dice che il Sommo Poeta nel Purgatorio parla con i morti, i quali hanno ancora curiosità, sono in qualche modo ancora interessati alla conoscenza, mentre nell’inferno sono tutti dentro la loro pena, domandandosi se la scomparsa del futuro non sia già la condanna.
L’infanzia e i fiori
Quella di Sergio Nelli è anche una scrittura olfattiva, visiva, tattile, una scrittura dei sensi, iper ricettivi, acuiti dall’approssimarsi della fine, contrassegnata dalla dolcezza dei ricordi di un’amicizia femminile e persino da alcune esperienze sessuali extra-coniugali (l’incontro con la badante moldava del padre), della scrittura del resto non si butta via niente, nemmeno le recriminazioni del «se fosse andata diversamente» espressione più compiuta dell’impossibilità di cambiare il nostro destino e tornare indietro: «La vita si degrada, mi dissi, e pensavo che avrei voluto semplicemente tornare indietro. Ma nuotavo controcorrente per qualcosa di atrocemente impossibile». I ricordi sono elencati persino in una sequela di immagini messe sul computer alle quali dedica un intero capitolo. Sono quelli dell’infanzia a Fucecchio, il racconto di un mondo che non c’è più o comunque è molto diverso da quello odierno: gli adulti che si trovano ai bar d’estate in canottiera, ciabatte e pantaloncini corti, le donne anziane (alcune sboccatissime) che sanno tutto di tutti e stanno a spettegolare sulle porte di casa, le botteghe di una volta dove si vendeva di tutto, la gente pigiata a vedere la tv nei bar, i bagni nel fiume (l’Arno), impensabile fare oggi una cosa del genere, oltre a condensare stille di memoria più intime quali quelle dei pranzi domenicali dai nonni. Una memoria a lungo termine, materia prima dello scrivere di Nelli, ma anche a breve termine come testimonia un altro suo breve e recente volume, Un’estate italiana (Les Flaneurs edizioni – 2020), taccuino dei giorni successivi alla quarantena durante la recente pandemia, prima del suo congedo letterario, Lo champagne di Cechov, nel quale si lascia andare anche ad alcune riflessioni sul mestiere dello scrivere in una realtà nella quale gli scrittori sono diventati così tanti che quindi «chi scrive non fa né caldo né freddo», tanti «come biciclette in un grande parcheggio cinese», facendone allo stesso tempo con questa sua opera una commovente elegia, in un libro nel quale non c’è un vero finale, non c’è nemmeno un vero svolgimento, una trama o uno snodo dell’intreccio. C’è invece nelle ultime righe un elenco di fiori, questo il congedo letterario di Sergio Nelli, Oscar Wilde non avrebbe potuto fare di meglio, mentre lo champagne lo troviamo nel titolo.
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