Tra ricostruzione e immaginazione Giancarlo De Cataldo romanza l’omicidio di Christa Wanninger nel 1963, su cui si ipotizzarono le piste più svariate, dal serial killer alle trame nere, allo spionaggio. In “Dolce vita, dolce morte” indagano un giornalista e un commissario. Vere sono le strade e i locali della Roma di Fellini e Mastroianni, i paparazzi, il contesto politico e culturale
Roma, primavera 1963. Marcello viene svegliato da Marianne, la suoneria del telefono fa un rumore infernale, sono le tre del pomeriggio e il caporedattore gli chiede di andare subito al giornale perché serve un pezzo di colore sulla morte della 22enne Greta Müller, tedesca di Monaco di Baviera, occhi luminosi e capelli biondo maturo, aspirante attrice o modella, seducente e sbevazzona, in grado di parlare anche italiano, inglese e francese. Neppure sanno che lui l’ha conosciuta bene, amante dolce e arrendevole, non troppo fantasiosa. Le sono state inferte sette coltellate sul pianerottolo di una modesta pensione in via Emilia, dov’era ospite dell’amica Elizabeth, che non l’ha sentita gridare. Poche e vaghe le testimonianze e gli indizi, il commissario Carelli indaga, interroga, confronta, ma non ha piste certe.
Un omicidio nell’oblio ma…
Il trentenne Marcello Montecchi è molto attraente, ambizioso ma indolente, disinteressato alla politica e ai pettegolezzi, scrive bene e ha l’abbozzato progetto (non in calendario) di un grande romanzo. L’aveva incontrata il giugno precedente in via Veneto, avevano flirtato un poco, dopo una settimana erano finiti a letto, tornandoci quasi ogni sera per oltre un mese; lui conosce tutta la Roma che conta e le aveva presentato stilisti registi produttori; poi, quando era andato a trovare una settimana il padre sull’Adriatico, lei si era messa con un altro, facendosi risentire solo a ottobre prima di una sfilata. Erano restati amici, il bel Marcello era abituato (solo) alle storie passeggere finché a febbraio aveva conosciuto Marianne che era presto andata a convivere, lui finalmente un poco innamorato della modella cantautrice di Oslo dagli occhi verdi, che si sente anarchica e odia i fascisti. Per una ventina di giorni l’omicidio tiene banco sui giornali e nelle conversazioni, poi finisce nell’oblio. Eppure a primavera 1964, nell’autunno 1974 e a primavera 1988 il cresciuto Marcello viene di nuovo chiamato in causa da notizie e novità sul delitto, forse ancora insoluto.
La storia vera
Il grande prolifico scrittore italiano Giancarlo De Cataldo (Taranto, 1956), ormai in pensione da magistrato, ha sempre avuto una passione per i fitti misteri, i delitti veri, le cronache criminali romane. Questa volta con Dolce vita, dolce morte (159 pagine, 14 euro) per Rizzoli, ci consegna una bella novella nera (è anche il titolo della nuova collana) con mille rimandi e immaginari, storici e cinematografici. Siamo ai fertili e mortali tempi della dolce vita (da cui il titolo, l’omaggio a Fellini è costante in tutte le pagine), via Veneto e Marcello Mastroianni sono in campo. Il reale cold case è il delitto di Christa Wanninger (1940) del 2 maggio 1963, un fatto di sangue intorno al quale si ipotizzarono le piste più svariate, dal serial killer alle trame nere, dai Nazisti allo spionaggio. La verità giudiziaria della Corte di Cassazione nel 1988 attestò definitivamente la responsabilità dell’oscuro pittore aversano Guido Pierri, dopo che lui stesso nel 1964 si era fatto avanti con un giornalista affermando di saperne qualcosa, nonostante fosse ritenuto incapace di intendere e di volere (poi non andò in carcere) e si sia comunque sempre dichiarato innocente (e sano di mente, poi sposatosi).
La ricostruzione e i colpi di scena
Vere sono le strade e i locali, il clima dei paparazzi e gli umori degli intellettuali (alcuni incontrati dal protagonista, come Pasolini e Moravia), il contesto politico e culturale, le cerchie e le truffe di Roma, le dinamiche nei quotidiani e nelle tipografie dell’epoca (senza internet, cellulari, social). Quasi tutto il resto è ottima fiction (contando anche sui ricordi personali, da un certo momento in poi). Marcello fa strage di cuori ma è un giornalista (non un attore) che evolverà nelle relazioni (soprattutto quando arriva il padre Radames) e nella specifica carriera; Marianne è la musa Anita delle dolci notti ma poi partirà, farà l’artista concettuale a New York e infine proprio la cantautrice girovaga; l’intreccio è noto ma la fine storicamente incerta, il giallo virerà sul noir romantico (l’amore travagliato per la città d’adozione); i colpi di scena vengono scadenzati in quattro parti per i differenti periodi delle notizie sulle indagini, ma i fili delle biografie risulteranno poi tirati con maestria autorale (e risalta il piccolo untuoso Momo Sangiacomo). Pinot grigio con il pesce ai Parioli come si usava nei Settanta. Negli stessi giorni la travolgente amante giovane gli fa ascoltare Alice di De Gregori, spiegando: “questo ragazzo cambierà la musica italiana”, Marcello non è molto seriosamente convinto del testo.
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