I protagonisti dissoluti, fragili e disperati di “Sulla cattiva strada” di Sara Benedetti, sono nati e radicati con orgoglio nella Genova dei caruggi. Scorrono trent’anni di storia, visti dal quartiere della Maddalena, con una certezza: non esiste una spiegazione che illumini il cuore oscuro della città, le sue storie e i suoi sensi
Entrare nelle storie di questo romanzo e nella sua atmosfera potrebbe essere più facile con qualche canzone di Fabrizio De André ascoltata tra una pagina e l’altra: sarebbe come camminare negli stessi mondi. Nella Genova dei vicoli e delle “cattive strade” è ambientato il romanzo di Sara Benedetti pubblicato da Nottetempo, Sulla cattiva strada (320 pagine, 17 euro). Una storia di perdite e perdenti che lascia poco spazio alla redenzione ma scava nelle viscere umane, e di Genova, tanto da trasformarsi in una specie di poesia triste. Proprio come riuscì a fare Faber, che non a caso cantava in La cattiva strada: “Ma c’è amore un po’ per tutti e tutti quanti hanno un amore sulla cattiva strada”.
Quadri di vita tra i caruggi
Caruggi di Genova, fine anni Ottanta: si apre su questo quadro la storia di Pagano e Tedesco, e degli altri che il lettore imparerà a conoscere come i ragazzi dei vicoli di una città che in questo romanzo è una grande madre che tutto accoglie e tutto accetta. La storia di Genova e dei protagonisti attraversa una trentina d’anni e restituisce scene note di attualità che includono il G8 e il crollo del Ponte Morandi. Dietro la cronaca, una cronaca meno nota eppure quotidiana che prende vita tra le strade degli ultimi, quelle che a Genova sono le stradine del centro storico, il quartiere della Maddalena che scende al porto con l’acquario.
Sono queste le quinte teatrali di un mondo senza speranze, dove deviare dai binari è l’unica traiettoria contemplata, perché il cielo è troppo basso tra le case e i panni stesi, quasi non si vede. Per sopravvivere nel Bronx genovese occorre attrezzarsi, imparare a non essere deboli, accettare anche di morire, intrappolati dentro assenze che diventano corazze di armature.
Nei caruggi della grande città trascorrono gli anni e si creano bande, si mettono su progetti per facili guadagni ai danni di qualcuno, si rema contro la legge e si cresce. Sulla cattiva strada è la storia di Tedesco, un po’ quella di Pagano, ma è soprattutto un affresco corale che si compone a quadri, dove le scene e i modelli si ripetono ogni tot: i bambini diventano ragazzini da istruire alla vita di quartiere, e così i giovani adulti, nella totale assenza dei padri e mentre le madri sono impegnate a fare la vita per racimolare qualcosa, o forse solo perché è sempre stato così.
Inseguendo desideri
Fare soldi, essere ricchi, sistemare falle e toppe che squarciano muri di casa ed esistenze lacerate: sembra questo l’unico desiderio delle bande di ragazzi caruggiai che popolano il quartiere della Maddalena e che anno dopo anno crescono alla scuola della strada. Spaccio, rapine, risse: la vita quotidiana ai tempi di Pagano e Tedesco, di Toso e di Lord Jim, con i suoi racconti di letture. L’orizzonte è basso, perché a Genova anche dai Righi, insieme al mare, non si perdono mai di vista i vicoli.
Nessuno regala nulla nelle vite di Tedesco, Pagano e dei loro amici, e la lotta è, fin dalla culla, quella che separa una richiesta di felicità dall’apparente semplicità dell’autodistruzione: la sottile linea di luce che passa dall’ultima sigaretta a un nuovo inizio.
Se la violenza e la crudeltà di questa storia e delle vite che racconta, delle loro memorie rimbalzate nei caruggi, sanno farsi poesia come nelle storie di De André è perché non si spegne mai quel battito sotterraneo che conserva l’elemento umano. Da qui sgorga la poesia della disperazione, l’invano e perenne tentativo di rallentare la corsa, di respirare aria pulita, di placare l’innata contraddizione che spinge i ragazzi dei vicoli a cercare guai e a desiderare, insieme, una stella da osservare in mezzo al mare, un mare che non è mai sempre lo stesso, a differenza delle loro vite a brandelli, e che mantiene la promessa di una vita nuova. Onda dopo onda.
Dove anche ciò che è brutto è bello
Genova è una città dove anche ciò che è brutto è bello, scrive Sara Benedetti. La contraddizione è connaturata alle storie che questo romanzo squaderna sotto gli occhi del lettore ed è probabilmente ineliminabile da un tessuto urbano che ha costruito proprio su questa dicotomia la propria caratteristica unica. Genova è la regalità dei palazzi nobiliari e il degrado buio e squallido dei vicoli che li attorniano, quasi senza soluzione di continuità. Non sarebbe Genova, non terrebbe insieme un gomitolo complesso e brulicante di vite, vincoli e insieme libertà consentiti, imposti, sognati e vietati.
Cosa sarebbe delle vite dei protagonisti senza la loro madre adottiva, la città nel cui universo tempestoso di persiane e focaccia, sono cresciuti e hanno imparato ad annusare il mondo? Genova come riscatto, Genova che è il mare e in fondo la causa di tutto e la possibilità di una fuga: non si potrebbe vivere da un’altra parte, non potrebbe essere che così. Lo sanno tutti i protagonisti dissoluti, fragili e disperati di Sulla cattiva strada, nati e radicati con orgoglio nella Genova dei caruggi.
Non esiste una spiegazione che illumini il cuore oscuro della città, le sue storie e i suoi sensi, così come non esiste redenzione per i protagonisti di questo romanzo. Ed è quello che Sara Bendetti racconta tra le sue pagine, in trent’anni di città, schiacciando il lettore davanti alla constatazione che spesso le contraddizioni sono insostenibili, assurde, e le possibilità restano in bilico, inattese come i sorprendenti angoli di Genova. Eppure, tutto si tiene insieme, tutto continua a fabbricare vita ed emozioni.
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