“La terza via” di Duddù La Capria nei biglietti degli amici

Troppo sperimentale per i “custodi” della tradizione, troppo classico per certi narratori sperimentali. Era Raffaele La Capria, di cui esce postumo un volume epistolare, “Tu, un secolo”, dove sono raccolte principalmente le lettere di alcuni fra i suoi più cari amici. I nomi? Da Ortese a Citati, da Pomilio a Veronesi

Ai dolci amici addio è un libretto di Raffaele La Capria, pubblicato qualche anno fa da Nottetempo: ricordi di donne e uomini – da Morante a Ortese, da Parise a Moravia – verso i quali era in qualche modo in debito, «senza di loro oggi non sarei quello che sono». In qualche modo adesso che La Capria non c’è più, scomparso pochi mesi prima di compiere cent’anni, esce un suo nuovo libro per Mondadori, le parti si sono invertite. In Tu, un secolo (168 pagine, 18,50 euro), edito da Mondadori, sono poche le missive scritte dall’autore di Ferito a morte (ne abbiamo scritto qui), e molte più, dagli esordi ai giorni nostri, vergate da mentori, amici, discepoli. Si comincia con Moravia e Bompiani, talent-scout ed editore, i primi a credere in lui con la pubblicazione di Un giorno d’impazienza, a spianargli la strada, che poi avrebbe percorso da solo, conquistando già con i primi brani del romanzo simbolo, pubblicati in rivista, varie proposte di pubblicazioni, anche dall’estero. Fra le tante cose belle da ricordare di questo volume postumo c’è un breve racconto epistolare, con una disavventura vissuta dall’autore sotto le armi: beccato da un superiore a leggere mentre marciava, viene punito con una perquisizione di tutti gli zaini dei commilitoni e con un… rogo

… lo sguardo del colonnello che esprime non solo l’ira e l’imminenza della punizione da infliggermi, ma anche l’oscura consapevolezza che con soldati come me la guerra non si potrà mai vincerla. Čechov, un russo! Sono stati allineati nel campo, davanti alle tende, prima del rancio, tutti gli zaini, e molti libri sono finiti in un falò, anche i romanzi più innocui, soprattutto quelli con la copertina rossa. Così ho perduto Moby Dick nella traduzione di Pavese, ma ho salvato La concezione materialistica della storia di Labriola…

Forse tutto, o molto, è iniziato come risposta a quelle fiamme.

Nè coi tradizionalisti né con gli sperimentalisti

«Uno dei pochissimi scrittori anticonformisti del nostro presente», come gli scrive il regista Pupi Avati, era riuscito già ai suoi esordi a posizionarsi in un ruolo e in luogo della nostra letteratura che apparteneva a lui e a pochi altri. Era una piccola grande rivendicazione che lo stesso La Capria, partenopeo d’orizzonte internazionale, cercava di spiegare, in una delle lettere pubblicate, a Pier Paolo Pasolini. E, in questo senso, l’osservazione più concreta e felice arriva da Claudio Magris, che sottolinea:

In Italia Ferito a morte ha anticipato le sperimentazioni stilistico-strutturali della neoavanguardia e critica al romanzo tradizionale, di cui conserva ma rinnova l’aura poetica facendo sì che il tema diventi stile; ed è stato forse scomodo sia per i tradizionalisti sia per i narratori sperimentali che li contestavano.

Probabilmente prima di assurgere ai giusti fasti di venerabile maestro, La Capria detto Duddù (o anche Dudù, ma la versione “Duddù” è molto più citata in queste lettere di amici e ammiratori), avrà scontentato… tutti. La sua terza via, però, ha aperto una strada, ha condotto altrove. Si poteva, si doveva fare letteratura senza pensare troppo alle controversie ideologico-stilistiche. C’era qualcosa di più urgente. Napoletano senza folklore e bozzetti, La Capria è stato precursore di una scrittura di riflessione, più che di azione, affabile e avvolgente, orientata a ricordi e memoriali piuttosto che ai romanzi d’invenzione.

Discepoli tanti, eredi per… celia

Ortese e Pomilio, Montale e Citati, Albinati e Veronesi («Tu rimani il mio mito, il mio marziano, la mia rock star, ma sei diventato anche il mio grande amico»). Si susseguono mittenti di missive significative, con parole commosse, grate, ammirate, rivolte a uno scrittore amato da più generazioni di colleghi e anche da un cineasta di grido come Paolo Sorrentino; non è un mistero che in passato il regista abbia provato a trarre un film da Ferito a morte, e che la sceneggiatura finita in uno dei tanti binari morti del cinema sia periodicamente fonte di ispirazione per Sorrentino. Tra le righe di questo prezioso libro epistolare si può cogliere un invito sotteso. Quello di tornare a leggere La Capria. Non abbiamo mai smesso, diranno alcuni. D’accordo, ma non solo il capolavoro. Ferito a morte, certamente abbagliante, offusca il resto della produzione. Ci sono alcuni suoi titoli post-romanzeschi, di memoriali e ritratti, che, riletti oggi, sbaragliano tanta presunta concorrenza, da Capri e non più Capri a L’armonia perduta, per esempio. E fanno capire che quando negli ultimi anni sono stati indicati suoi presunti eredi, fra i giovani autori, è stato solo per…celia.

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