Con “L’ora e l’ombra” Pierre Jourde si conferma una delle voci più autorevoli della letteratura francese contemporanea. Un viaggio nello spazio e nel tempo, a ritroso, evocati con una prosa poetica
C’è un filo rosso che unisce due storie lontane tra di loro, qualcosa che sembra impossibile, eppure, forse, chi lo sa… Il filo rosso è un luogo di villeggiatura, Saint-Savin, un bosco immenso, una spiaggia sulla costa atlantica e un passato sfuggente, dai contorni indefiniti. Disegna questo scenario Pierre Jourde nel suo acclamato L’ora e l’ombra (237 pagine, 18 euro), traduzione impeccabile di Gabriella Bosco, Prehistorica Editore, uno scenario che rasenta l’onirico, che si dissolve nel tempo, che confonde e attrae.
Una scrittura divina
Prehistorica è una piccola casa editrice con un gruppo di lavoro appassionato e competente che ha deciso di puntare sulla letteratura francese di qualità: autori non sempre conosciuti dal grande pubblico, ma che nel solco della grande tradizione transalpina riescono a dare grandi soddisfazioni a quella categoria di lettori che anziché andare appresso al mainstream e alle mode del momento, ama calarsi in certe atmosfere rarefatte, e soprattutto ama la bella scrittura. Come quella di Pierre Jourde, per l’appunto: le sue storie possono piacere o meno, il ritmo di questo suo romanzo a qualcuno potrà sembrare fin troppo compassato, ma non c’è dubbio che l’autore nato a Crétiel nel 1955 sappia scrivere divinamente. Gli basta un niente per deliziarci con una prosa precisa e altamente poetica, un gesto o un pensiero appena accennato per costruire un ponte attraverso il quale condurci alla pagina successiva. Non per nulla, quella di Jourde, viene considerata una delle voci più autorevoli e schiette del panorama letterario francese. La sua produzione è molto variegata, così come i premi che nel tempo la critica gli ha attribuito. Dobbiamo ringraziare i tipi di Prehistorica se da qualche anno le sue opere trovano spazio anche tra gli scaffali delle nostre librerie: prima di questo, Prehistorica aveva già tradotto Paese perduto e Il Tibet in tre semplici passi.
Omaggio a Proust
È il mistero che Pierre Jourde innesca come una miccia, la promessa del romanzo che fa da traino: un uomo e una donna, amanti, si avviano in auto verso una destinazione lontana, scelta quasi per caso. Un viaggio che si rivelerà un tuffo nel passato, nel ricordo, nell’inganno, nell’amore impossibile, ideale, quello che non di rado accompagna i nostri primi bollori adolescenziali. Un viaggio nello spazio e nel tempo, a ritroso, da Parigi a Saint-Savin, nei luoghi dell’infanzia di quest’uomo alla ricerca (forse inconsapevole) di qualcosa di prezioso che crescendo ha via via smarrito. Tempo che, come è facile intuire, è il protagonista del libro: un tempo che si dilata e si contrae disobbedendo alla consuetudine, perché è percepito tramite le emozioni anziché attraverso la routine del quotidiano. È in questi spazi elusivi eppure concreti, perché segnano le nostre esistenze finendo per occupare le stanze della memoria, che Jourde si insinua con l’abilità di un antico maestro orologiaio. E parlando di tempo, ovviamente, non si può non precipitare nel mondo di Proust, di cui L’ora e l’ombra vuole essere un raffinato omaggio.
Ma non solo il tempo. Ci sono anche le ombre, appunto, in senso metaforico soprattutto: perché ogni personaggio del romanzo ha un alter-ego (o un’ombra) con cui prima o poi è chiamato a fare i conti, in una trama che procede a strappi, sembra aggrovigliarsi su sé stessa, per poi espandersi verso il profondo.
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