Racconto storico, giallo, ma anche saga sociale ancor più che familiare. È tutto questo “Testimoni sepolti” di Michele Rondelli, che dà dignità e risonanza alla tragedia della miniera Cozzo Disi di Casteltermini: 89 morti nel 1916. Uno spaccato siciliano evocato con un espediente, l’arrivo di un giornalista palermitano che deve scrivere di un fatto di sangue e finisce per fare i conti con inganni, amori e crudeltà…
Leggere trecento e passa pagine in un solo giorno significa che un libro funziona.
A me è successo leggendo Testimoni sepolti (308 pagine, 19 euro) di Michele Rondelli, Ianieri editore.
Partivo con il vantaggio di avere a cuore le vicende: sono di Casteltermini, il luogo dove di fatto si svolgono gli eventi raccontati nel romanzo. Non basta, ho nel dna quello dei minatori: i miei nonni ed i miei bisnonni lavoravano nella miniera di zolfo di Cozzo Disi, che è l’anima della vicenda narrata. Rondelli con il suo libro torna a dare dignità e risonanza alla più grande tragedia mineraria di tutti i tempi, quella che, proprio alla Cozzo Disi di Casteltermini, il 4 luglio del 1916, fece la conta di 89 morti. Non furono 90 per un pelo, perché il giovanissimo Vincenzino, che è realmente esistito, si salvó per una “spettinatura” del destino. Rimase vivo per giorni grazie a una mosca, che gli diede la speranza dell’alito di vita.
Un forestiero e un amico
Rondelli racconta una storia che neppure la sua gente di “Calarmena”, così l’autore chiama Casteltermini nel romanzo, conosce bene. Sono fatti storici, intramati con i fili del giallo, ma anche con quelli della saga sociale ancor più che familiare. C’è un giornalista, Ruggero De Robertis, che da Palermo parte per un paesino tra i colli, un luogo che i più sconoscono. Deve scrivere di un fatto di sangue. Quello diventa il pretesto perché De Robertis, che contempla in sé la rara commistione tra furbizia, buon senso e bontà d’animo, si misceli con la gente del posto, partendo da un amico storico, il cavaliere Paolo Lo Groi, con il quale aveva condiviso gli anni della prima gioventù al Convitto, in città.
I carusi con le spalle curve
Il paesino, la cui vita ruota intorno alla miniera, cela misteri manco pensabili. Inganni, amori, figli illegittimi, conflitti familiari spaventosi, crudeltà. Nel giro di poco i fatti di sangue si accavallano, il mistero cresce e De Robertis vuole capire. Nel frattempo si mischia, da buon cronista, con la gente del posto. La prima è Rosa, procace locandiera goldoniana, che con ruffianeria si trova sempre presente nei momenti che contano. Ci sono i Pagano, il papà Carmelo, ricco possidente, di fatto proprietario della miniera. Ha il cuore buono sí, ma è di poco coraggio e di questo si approfittano i due figli legittimi, cattivi da far venire il voltastomaco. Sono Ettore e Filippo, una citazione di Caino e Abele in salsa siciliana. C’è donna Clelia, moglie di don Carmelo, che ha nell’essere la summa esatta di eleganza, sapere ed anche una certa resilienza, che la rende grande, seppure gli altri lo capiscano quando è troppo tardi per darle merito. C’è Anna, la bella, che è giovane e piena di virtù e sua madre, Emanuela, che è un piccolo capolavoro di dignità. Ed ancora Vincenzino, che “alla pirrera” non ci voleva andare, ma è costretto, perché il destino dei ragazzini di Calarmena quello era. Veniva tracciato fin da bambini: carusi di surfara, con le spalle curve e il destino cupo. L’innominata madre di Vincenzo conosce lo sterminio della miniera, eppure accondiscende senza fiatare. Non per mancanza d’amore, quanto perché quella era la vocazione senza scampo delle madri di Calarmena.
Buoni e cattivi
Ci sono gli eroi positivi da una parte, con in testa Ruggero De Robertis e il delegato Luigi Barbagallo. Intorno a loro una sequela di buoni, in tono leggero, ma mai minore. Ci sono i cattivi, alcuni dei quali si rivelano sul finale, con tanto di colpo di scena. C’è una grande umanità, che Rondelli racconta, in tono ovviamente romanzato, tratteggiando uno spaccato di vita siciliano, che è dell’entroterra, dove il mare non si vede neppure oltre l’orizzonte più ampio.
Testa e cuore
C’è una storia vera, il tema senza tramonto della mancata sicurezza sul lavoro e morti che chiedono ancora giustizia. Rondelli ha voluto raccontarla con maestria, scrivendo un romanzo che è anche storico e facendo passeggiare il lettore lungo le rive di numerosi e celeberrimi testi della letteratura italiana e internazionale. Leggere “Testimoni sepolti” mi ha commossa poiché mi ha ricordato la storia del bisnonno Girolamo, morto in una delle tante tragedie della Cozzo Disi.
Sono certa abbia commosso e commuoverà gli altri lettori, perché è scritto con testa e cuore e le corde del cuore sa toccare.
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