Un battesimo avvenuto in età adulta e la conversione in “Ama e fai quello che vuoi”, romanzo autobiografico di Elisa Fuksas. Non il racconto di una bacchettona o di una sprovveduta, non l’esaltata euforia di una predicatrice, né la delicata catechesi d’una suora, e neanche la suggestione entusiastica di una mistica occasionale. Parla di qualcosa di importante, di vita! È l’incontro improvviso di un Mistero, che le fa muovere i primi passi verso Dio
In una delle sue dieci omelie sulla Prima Lettera di Giovanni, il grande Agostino d’Ippona ebbe a pronunziare una frase che, da quel giorno in poi, sarebbe passata alla storia: Ama e fa’ ciò che vuoi. Il contesto era quello in cui l’agiografo parlava dell’amore di Dio, anzi, trasformando in un assioma trinitario un predicato nominale che per lui era già una tautologia, scriveva l’espressione: Dio è amore, e forse non si rendeva conto di come, nei tre termini logici, fossero presenti il Padre, il Verbo del suo stesso essere, e l’Amore che, predicato da questo Verbo, diceva tutto circa – e tutto coincideva con – la sua stessa fonte.
In tal modo, chiunque avesse letto questa frase, e ascoltato poi quella di Agostino, sarebbe giunto ad una altrettanto logica conseguenza (quando la logica era un illuminato esercizio sillogistico del pensiero, ed era fatta di premesse e conclusioni volte a non creare contraddizioni): se io vivo in Dio, se tutto quello che faccio è in Dio, allora potrò fare tutto ciò che voglio, perché tutto ciò che farò sarà Amore, sarà Dio.
Luciano De Crescenzo, nel suo Storia della Filosofia (e dopo aver prima descritto i filosofi greci, tra cui anche Aristotele… sic!), interpretò l’apodissi agostiniana in maniera a dir poco fuorviante: Fa’ tutto ciò che ti pare perché tanto Dio è amore (immaginate la frase con accento napoletano, ovviamente).
Innescare domande
Ora, il libro di cui si parla in questa recensione porta un titolo che – considerate le suddette premesse – comincia già dalla copertina ad innescare domande, e non certo conclusioni: Che vorrà mai dire l’autrice di questo romanzo?
Chi non conoscesse Agostino neanche saprebbe l’origine di un titolo così impegnativo; chi – ahimè – non conoscesse neanche De Crescenzo, rischierebbe un equivoco prima ancora di cominciare a leggere. Io, per fortuna, leggendo quel titolo mi sono subito acceso di curiosità perché – fin dall’immagine sotto a quel titolo – ho cominciato a chiedermi cosa c’entrasse quella mezza faccia di donna che usciva dall’acqua.
Tolle! Lege! Tolle! Lege! Mi diceva l’istinto. È fu proprio in quel momento che presi la decisione. Aprii il libro e cominciai a leggerlo.
Non ci misi molto a capire che l’autrice e la protagonista coincidevano (beh, avevano lo stesso nome ed era un ottimo indizio) e così, quando ad un certo punto qualcosa ti colpisce mentre leggi, e cerchi di immaginare come l’autore possa essersela figurata nella sua mente o, come nel caso di Elisa, possa averla vissuta in prima persona, giri il libro, cerchi l’ultima di copertina e – se c’è – guardi la foto di chi l’ha scritto.
È un contatto. Un passaggio sostanzialmente nullo nel processo di conoscenza dell’autore, e tuttavia non inutile: è già una certa partecipazione alla realtà attraverso i sensi, è uno sguardo che coglie un volto e, in ogni caso, sa già qualcosa in più rispetto a prima; perché anche un viso poggiato sul palmo di una mano, a guardare qualcosa che magari è solo l’immagine di un pensiero, dice qualcosa. Si vede solo un sembiante, un contorno, una figura inscritta in un cerchio che non vuol dirti altro, e in tutto quel piccolissimo universo tu devi creare il tuo, attraverso l’immaginazione.
La ragionevolezza dalle ceneri della razionalità
Chi è Elisa?
Ho scoperto che è una regista e che, ad un certo punto, scrivere è stato il suo modo di filmare la realtà. E se una cinepresa è perfetta per riprendere ciò che c’è fuori, una penna è meravigliosa per disegnare tutto ciò che ci sta dentro.
Elisa ha scritto un romanzo stretto negli abiti delle odierne tendenze; ha prodotto le sue confessioni, come Agostino, senza porsi – forse – troppe questioni editoriali, senza consultare statistiche e sondaggi. Perché chi sente di dire qualcosa lo fa, punto e basta. E ad un certo punto, credo, lo fa per narrare un’esperienza, per mostrare fotogrammi di esistenza che, a guardarli bene, non sono poi così distanti dalle pellicole di altre vite, e che dunque possono lasciarti la possibilità di un confronto.
Elisa ha scritto del suo battesimo, avvenuto in età adulta, in un momento in cui non si trovava all’ultima tappa di chissà quale lungo cammino di preparazione, anzi. La necessità di questo battesimo irrompe nella sua vita, senza alcuna logica. E qui sì che logica può essere messa da parte, perché se essa è utile a ragionare non sempre è vero che ci aiuti a capire. Del resto, certe cose neanche avvengono per essere capite, ma per essere intercettate, indagate, accolte. L’Amore non va capito, va amato, diceva qualcuno. Certe cose giungono come un Mistero che, proprio perché incomprensibile, ti fa muovere i passi verso di Lui. Elisa segue un Uomo senza saperne nulla, ed è proprio per questo che il suo desiderio le sembra ragionevole. Questo libro è un inno alla ragionevolezza, che rinasce dalle ceneri della razionalità.
Procedere per partecipazione
Ama e fai quello che vuoi (Marsilio, 471 pagine, 19 euro) di Elisa Fuksas segna il netto confine – e fa di questo confine un romanzo tanto intelligente quanto gustoso – tra un saggio di sacramentaria ed un’esperienza di vita.
In un manuale sui sacramenti, infatti, c’è spiegato tutto sul battesimo, sulla materia e la forma del rito, sulla sua storia, sulle sue caratteristiche e i suoi effetti, ma potrai leggere il manuale senza che il suo oggetto sia parte di te, o senza che tu ne faccia parte. Nel libro di Elisa Fuksas, invece, si racconta la storia di una donna transverberata da un evento: si capisce qualcosa di questo Mistero perché se ne colgono i riflessi agitati sulla superficie e nella profondità di un’anima.
Non si tratta di un romanzo come gli altri (l’elemento autobiografico è sempre distanziante, discriminante rispetto agli standard) e talvolta si incespica perché – semplicemente – devi fare lo sforzo di pensarti come chi, in quel momento, ti sta raccontando Elisa; ed è proprio lei che lo fa. Devi procedere per partecipazione altrimenti, se non guardi con gli occhi di chi scrive, rischi di non capire.
Come chi ascoltasse un film senza guardarlo: potrebbe perdere un’inquadratura che, già da sola, prende il posto di mille dialoghi e di mille scene, ed è più eloquente di qualunque intreccio di rivelazione. Il libro di Elisa funziona così: descrive, racconta e, nel frattempo, inquadra. Devi prendere sul serio l’intera triade per immergerti in quella stessa acqua: devi registrare quelle descrizioni, devi stare a sentire mentre Elisa racconta, perché sta raccontando di sé e lei non è certo un personaggio inventato, e devi osservare le inquadrature.
La prima è quella di una ragazza morta, sul ciglio d’una strada, di giorno, senza un motivo apparente. È l’inquadratura che ti accompagna lungo tutto il romanzo, perché è stata all’inizio del film e qualcosa dovrà pur dire! Non riesci a togliertela davanti agli occhi, né tu né Elisa, e lo sfondo di questa morte incomprensibile diventa lo sfondo di una incomprensibile rinascita.
Ma attenzione, Elisa Fuksas non è una bacchettona né una sprovveduta. Il suo racconto non è l’esaltata euforia di una predicatrice, né la delicata catechesi d’una suora, e neanche la suggestione entusiastica e infatuata di una mistica occasionale. Qui siamo nel campo della più cesellata attenzione: si parla di qualcosa di importante, e come qualcosa di importante deve passare! Si parla della vita, ed è la vita che deve passare!
Le relazioni, la Relazione per eccellenza
Elisa Fuksas non fa di sé stessa una catecumena da manuale, né descrive la propria vita come il campo ubertoso in cui sogliono sbocciare i fiori della grazia: racconta semplicemente sé stessa e, nella semplice e inquieta struttura della sua esistenza, descrive l’accadimento misterioso di qualcosa che arriva all’improvviso, incondizionatamente rispetto all’atteggiamento di chi attende. Anzi, Elisa Fuksas non è neanche una che attende – non all’inizio, almeno; o forse ha sempre atteso e non lo sapeva fino a quel momento – e, nonostante questo, Chi deve arrivare arriva, raggiungendo Elisa così come essa è: perfettamente identica a sé stessa, senza il rischio delle adulterazioni dell’attesa, quelle che ti fanno pulire casa solo quando sai che arriverà qualcuno. Del resto, a Qualcuno poco importa della casa in cui tu abiti: gli basta raggiungerti.
E quando accade, quando l’Accadimento accade, tu sei tu e Lui è Lui: siete tutti e due lì e comincia una relazione, che si intreccia inevitabilmente con tutte le altre.
È un libro pieno di relazioni quello di Elisa Fuksas: una con Giacomo, una con Luca, una con i suoi genitori, un’altra con sua sorella, altre relazioni con chi la accompagnerà lungo il suo cammino, e poi ce n’è un’altra: quella con la nonna. Sono tutte relazioni diverse: di parentela, di amore, di amicizia. E in tutte queste relazioni, giorno dopo giorno, emerge quella con Lui: la Relazione per eccellenza, quella che ti permette di continuare ad essere te stessa, a fare ciò che vuoi, mentre tutto dentro di te sta cambiando.
Ma c’è anche la relazione che Elisa ha con sé stessa. Ed è in questi momenti, quando le righe di una pagina diventano soliloquia, che capisci cosa sia l’inquietudine di un tale incontro.
Resistenza e resa
L’apparato simbolico del libro è imponente senza darne l’impressione, e questo è certamente un grande merito! E credo sia tipico di una brava regista. Così, se questo battesimo è il desiderio, esso si colloca a mezz’aria tra il mondo (Giacomo) e il sogno (Luca), tra la realtà del già e la possibilità del non ancora; allo stesso modo, è nel rapporto drammatico e tormentato con la nonna che Elisa combatte il suo personalissimo Iabbok, la più ardua battaglia, quella contro sé stessa, contro la lei che vuole resistere e quella che anela arrendersi. Resistenza e resa: così Bonhoeffer descriveva la condizione dell’uomo davanti al Mistero, ed è esattamente ciò che emerge dalle pagine del libro: una continua tensione tra la gravità di un nucleo che ti attira a te stesso, illudendoti che un io non potrà mai essere un abisso, e la forza propulsiva di un desiderio che ti realizza, buttandoti fuori di te, e promettendoti che se perderai la tua vita la ritroverai.
Alla fine non credo, o non del tutto, che Elisa Fuksas sia poi così diversa da un personaggio inventato. In che senso? Nel senso che chi scrive di sé, senza scrivere per sé, si reinventa, si riscopre, si ritrova.
Concludo con una suggestione, raccontandovi come ho personalmente vissuto uno dei passaggi interpretativi di questo libro.
Quando mi accorsi che, ad intervalli più o meno regolari di pagine, l’Autrice scandiva il passare del tempo con delle brevissime rubrichette sull’anno liturgico, in un primo momento, quasi d’istinto, mi sono detto: Dai, su, ti sei appena battezzata e già ci vuoi fare il catechismo?! Risi immediatamente a questo pensiero, perché era ovvio come l’intenzione fosse un’altra, ma non riuscivo ancora perfettamente a focalizzarla. Era necessario? Continuavo a chiedermi. Non stona un po’ con la natura così libera di questa narrazione? Perché rubricizzarla? Insomma, avete capito.
Ogni ricordo una comprensione
Poi, quando terminai di leggere, compresi. E non perché avessi necessariamente capito. Compresi perché ricordai! Ed ogni ricordo è sempre una forma di comprensione, o almeno così sembra talvolta che arrivi un ricordo.
Ricordai che Giovanni, nel suo vangelo, descrive il suo incontro con Gesù, il suo primo incontro. E subito dopo aggiunge: erano circa le quattro del pomeriggio.
Appunto. A che serve? A noi nulla, forse. A chi, in quell’istante, ha visto cambiare la sua vita, la rubrica d’un ricordo insegna qualcosa di indelebile: che il tempo, oltre certi istanti, esiste solo insieme a Colui che ami.
È possibile ordinare questo e altri libri presso Dadabio, qui i contatti