Un libro sorprendentemente luminoso, un richiamo al dovere della speranza, è “L’uomo più felice del mondo” di Eddie Jaku, sopravvissuto al lager e scomparso a 101 anni. Dinanzi a odio, orrori e mostruosità preferirà il dolce profumo dell’amore a qualsiasi desiderio di vendetta…
Alle generazioni future, questa è la dedica e insieme lo spirito che pervade un libro che mi ha immediatamente conquistata. È stato un meraviglioso coup de foudre, preludio ad un amore cresciuto nutrendosi ad ogni nuvola di gentilezza che attraversa le musicali pagine de L’uomo più felice del mondo (140 pagine, 18 euro) di Eddie Jaku, edito da Mondadori nella traduzione di Manuela Faimali.
Si attende che la morte bussi ad ogni riga nell’autobiografia di un sopravvissuto a tutto ciò che i campi di concentramento e l’assurdità di un male profondo come la bocca dell’inferno hanno costituito, e invece ogni parola è un’epifania di vita, di delicato e insieme potente desiderio di diffondere la Speranza, quella vera, quella che sopravvive ad Atropo, l’irremovibile fatalità della morte e, pur nell’incessante echeggiare della domanda sul perché di un tale aberrante odio, si staglia fiera e dolente sulle macerie di un mondo che ha il dovere di non cedere al consolante oblio del tempo.
Teseo e il Minotauro
Nietzsche dallo scranno geniale del suo equilibrio sopra la follia, ammonisce l’uomo dalla tentazione di scrutare nell’abisso racchiuso nello specchio dove si agitano placidamente i suoi demoni, perché il male e il dolore sono una calamita potentissima che risucchia ogni sussulto di vita.
Chiunque abbia attraversato gli inferi di una profonda sofferenza comprenderà perfettamente il monito nietzschiano. Chi porta nella carne il marchio della prostrazione, sia esso un numero tatuato per cancellarne dignità e memoria o i segni di una schiavitù sotto qualunque forma, è pienamente conscio che non esista via di mezzo possibile fra soccombere sotto i colpi di Caino e risorgere sanguinante e malconcio ma trionfante, seppur sul letto di chiodi della persecuzione.
Abraham Salomon Jakubowicz, o Eddie Jaku (morto nel 2021, a 101 anni) come ha preferito farsi chiamare, è indiscutibilmente un vincitore, e la sua medaglia non è stata solo impressa a fuoco nel suo braccio, l’ha portata in giro stampata nel suo sorriso ogni dolorante e meraviglioso giorno della sua lunga vita, e quella curva splendida delle sue labbra, che sopravvive grazie alla delicata magia delle parole scolpite in questo libro sorprendentemente luminoso, indica ai posteri, a coloro che vorranno ascoltare questo richiamo al dovere della Speranza, che fino a quando sentiamo anche un piccolissimo vagito di vita agitarsi dentro di noi allora non è finita, e quel respiro che può farsi flebile sotto i colpi di un destino bastardo va alimentato con una carezza di coraggio.
L’uomo più felice del mondo di coraggio ne ha avuto quanto è impossibile da racchiudere in una recensione, e forse anche in un libro. Solo Eddie Jaku sa che prezzo abbia dovuto pagare per non farsi abbrutire dai tanti mostri di cui era popolato il suo labirinto e quanto dolore avrà provato nel vedere chi non è riuscito a farcela, chi ha preferito farsi abbracciare da sorella morte in una scelta che è impossibile da giudicare, chi voleva a tutti i costi sopravvivere ma qualcun altro ha reciso quel soffocato anelito, e più di tutti chi ha preferito uscire dal labirinto spingendo altri a forza in questo girone degli innocenti.
L’Arca dell’Alleanza
Di fronte alle persecuzioni, alle violenze, ai soprusi senza regole, senza un perché che non fosse l’annientamento dell’essere umano in quanto tale, Eddie ritrova l’ancestrale spirito di fratellanza che unisce il popolo ebraico in un unico abbraccio, che risplende dei vividi colori di un arcobaleno di solidarietà senza confini.
È alquanto semplice aiutare chi si trova in difficoltà dalle comode poltrone di una quotidianità scevra di grandi preoccupazioni. Gli ebrei, e con loro tanti esseri umani uniti da umilianti persecuzioni e forgiati al fuoco arido della più infima bruttura dei loro simili, che sopravvissero a questo doloroso deserto di ragionevolezza, spesso decisero di sovvertire con drammatico coraggio un destino di amara solitudine che sembrava la conclusione naturale ad un orrore che grida vendetta agli occhi di Dio e degli uomini.
Non sarà la vendetta la strada che tantissimi di questi emblemi di dignità ed orgoglio sceglieranno di percorrere, e Eddie Jaku, il nostro fiero Virgilio di quegli antri maledetti di assurda mostruosità, preferirà che sia il profumo dolce dell’Amore che salva e guarisce, e non quello della morte che consuma senza pietà, a indicargli la via di un giardino di lussureggiante bellezza, dove i fiori sono desideri che sbocciano al tocco di una carezza delicata.
Sapere aude
Confesso, ma non mi pento, che non ho potuto frenare un moto di enorme soddisfazione ogni qualvolta il protagonista di questo libro, scritto con disarmante semplicità ma grondante stille di sapienza ad ogni pagina, metteva in evidenza il ruolo determinante che l’istruzione (dal latino instruere, derivato di struere _costruire_) ovvero la costruzione attiva del proprio sé, ha avuto nel consentirgli di sopravvivere alla malvagità, al fato e all’ignoranza gretta. La proverbiale “scaltrezz”a del popolo ebraico, che altro non è che l’atavica decisione di mantener viva la speranza ad ogni costo, consente al giovane Eddie di sfuggire ad un destino in apparenza già segnato. Come un dolentissimo Robinson Crusoe, Eddie Jaku si erge trionfatore sulla sua isola di ritrovata libertà.
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