Nuova edizione di “Niketche. Una storia di poligamia” della mozambicana Paulina Chiziane, fotografia di un Paese colmo di tradizioni e contraddizioni, di drammatica condizione femminile al cospetto di un eterno patriarcato. La scoperta di più tradimenti del marito Tony, porta la non più giovane Rami a ricercare tutte le amanti. Non per contrapporsi a esse, ma per cercare una comune emancipazione…
Il Mozambico è ufficialmente una delle mie terre letterarie promesse. Buona parte del merito era dovuta finora ai libri di Mia Couto (da alcuni anni pubblicato da Sellerio, ma in precedenza edito da Voland, Guanda, Ibis, edizioni dell’Urogallo) ma c’è un’altra voce che mi diventerà cara (missione: recuperare tutto quello che ha scritto, in fondo una manciata di titoli), che ho colpevolmente scoperto in ritardo, ed è quella di Paulina Chiziane, classe 1955, coetanea di Mia Couto.
Caleidoscopica tavolozza delle emozioni
L’occasione per aprire gli occhi su una delle maggiori scrittrici di lingua lusitana è la riedizione da parte della Nuova Frontiera di Niketche. Una storia di poligamia (380 pagine, 18,90 euro), volume pubblicato in patria nel 2002 e apparso già quattro anni dopo in Italia. A lungo militante politica, contro il dominio coloniale del Portogallo, Paulina Chiziane si è infine dedicata completamente alla causa letteraria. E, a giudicare da questo suo solo romanzo, dal ritmo incalzante e dai temi implacabili, si tratta della scelta più assennata che potesse fare. Un romanzo che fotografa un Paese, il Mozambico, colmo di tradizioni e contraddizioni, e che si carica sulle spalle la condizione femminile in un mondo dominato dal patriarcato e dai condizionamenti culturali, e dà voce a donne in balia allo stesso tempo del dolore e dell’allegria; sono pagine che vibrano di musica e tradizione. La tavolozza delle emozioni che suscita la lettura di questo romanzo di Paulina Chiziane è a dir poco caleidoscopica: c’è da meditare, da ridere, da indignarsi, da sorprendersi.
Sguardo caustico e ironico
Cosa narra Paulina Chiziane, attraverso la “voce” italiana di Giorgio De Marchis, in Niketche? Principalmente di Rami, moglie non più giovane, tradita da Tony, capo della polizia locale, dai principi dubbi («La purezza è maschile, e il peccato è femminile. Solo le donne possono tradire, gli uomini sono liberi, Rami») e dal vorace appetito sessuale che non si è limitato alla poligamia, con varie relazioni adultere, ma con ognuna delle amanti ha di fatto costituito nuclei familiari paralleli. È il monologo interiore di una donna spezzata, che vive in una regione meridionale del Mozambico, e del suo tentativo di non sottomettersi passivamente allo stato delle cose, ma di sviscerarne le cause, di indagarne i perché. Non affronterà da solo questo percorso di comprensione, ma con quelle donne che, via via, l’hanno sostituita. Dall’iniziale, anche violenta, contrapposizione con Julieta, Luísa, Saly, Mauá Sualé («Donne di ieri, di oggi e di domani, che cantano la stessa sinfonia, senza speranza di cambiamento»), scaturisce altro, una fiammella di solidarietà. Con sguardo caustico e ironico – una volta che Rami prende atto dell’esistenza non di un semplice “triangolo” ma di un “esagono” e che comprende come le altre donne considerino Tony principalmente un mezzo per sfuggire alle fame… – prende forma un riscatto, un iniziale cammino di emancipazione (con un finale che non è quello che a un certo punto sembrerebbe) e si entra in soggettiva nella quotidianità, e negli usi e costumi, di un Mozambico post-indipendenza, per certi versi ancora ancestrale, fra stregoni e danze erotiche (in particolare il ballo del Niketche), miserie e superstizioni, oltre a un’educazione sessuale, quella di Rami, non al passo coi tempi…
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