Un’esistenza segnata dalle violenze psicologiche e fisiche di un sacerdote. È quella di Tonino Deogratias, giovane protagonista de “L’avversione di Tonino per i ceci e i polacchi”, debutto di Giovanni Di Marco: un racconto d’invenzione che accende i riflettori sulle responsabilità morali dei vertici della Chiesa…
Castelverde del Golgota. 1981-1988. L’improvvisa tragedia della famiglia Deogratias accade nella primavera 1981, Tonino ha poco più di sette anni, muore l’adorata madre partorendo il fratellino più piccolo, Salvatore, e vengono stravolte la sua esistenza quanto quella del padre e della sorella maggiore, entrambi molto silenziosi. Il funerale si svolge il 13 maggio, a un certo punto della cerimonia in chiesa arriva la notizia dell’attentato al papa, Giovanni Paolo II, il polacco Karol Józef Wojtyla (1920-2005). Il ragazzino va a vivere a casa degli zii, la sorella della mamma Nunzia e Saro; padre e fratelli hanno i loro guai; dorme da solo nel letto e nella stanza che erano stati del cugino Santino, sposatosi l’anno prima e residente nella vicina Palermo; è costretto a confrontarsi con le loro abitudini e convinzioni. La via è stretta, proprio di fronte abita la bellissima 24enne Tania, fianchi esili e occhi verdi, madre tedesca morta e amato padre a Calatafimi; il geloso marito Alfredo è quasi sempre fuori paese, così Tania “adotta” il piccolo disperato orfano, lo aiuta con i compiti, ne raccoglie le confidenze e contiene gli umori, ne capisce il fastidio e l’opportunismo per la compassione acritica.
Silenzi, paure e crisi
Il precoce Tonino è tifoso della Juve e grande appassionato di calcio (pure giocato), conosce squadre risultati giocatori, la madre gli aveva insegnato a leggere a cinque anni. Nell’estate del 1982 lo mandano al catechismo e poi a fare il chierichetto, in parrocchia subisce le attenzioni di Padre Alfio che porta lenti spesse e parla con la lingua di pezza, lo aveva già soprannominato Gatto Silvestro. Ben presto il prete lo violenta psicologicamente e fisicamente, condizionandolo ad accettare un rapporto pedofilo senza dire niente a nessuno. Non proprio subito, ma Tania se ne accorgerà e troverà il modo di reagire; Tonino crescerà così fra sogni della madre e brutti incubi, silenzi e paure, crisi di febbre e mancamenti, attacchi di rabbia o cattiveria, fino alla pubertà e all’adolescenza.
Ferite subite e inferte
Il bravissimo giornalista sportivo Giovanni Di Marco (Palermo, 1975) esordisce ottimamente nel romanzo, per Baldini+Castoldi, con L’avversione di Tonino per i ceci e i polacchi (432 pagine, 20 euro), ambientandolo in un paesino che ricorda il luogo dove serenamente risiede da anni con la famiglia (Marineo), pur trattando una storia che potrebbe essere avvenuta quasi ovunque ed è purtroppo variamente avvenuta in migliaia di altri contesti geografici. Con stile e ritmo, la narrazione è in prima persona al passato. Tonino racconta la propria esistenza da 7 a 15 anni, le ferite che ha subito e quelle che ha inferto, non sappiamo perché sia stato indotto a parlarne e scriverne, certo una molla gli scatta il 25 marzo 2003, mentre 22enne sta lavorando in un grande magazzino di Monaco, in Germania, quando lo chiamano dalla casa siciliana e gli suggeriscono di comprare l’Osservatore Romano che quel giorno pubblica una breve notizia sul cordoglio di Giovanni Paolo II per la morte di Hans Hermann Groër (1919-2003).
Lo scandalo della chiesa austriaca
Lui sa bene che il reverendissimo cardinale arcivescovo di Vienna dal 1986 al 1995 (poi emerito) era un pedofilo acclarato, che abusò di oltre duemila bambini e ragazzi quando era in funzione e fu denunciato da alcuni benedettini anche successivamente al ritiro in monastero. Infatti, Tania è la sorella di uno di loro, Tonino scopre casualmente centinaia di lettere del fratello Marco, a sua volta violentato da Groër a Hollabrunn e St. Pölten dalla fine degli anni Settanta (ne leggiamo alcune inviate fra il maggio 1982 e l’agosto 1988, in parallelo con le vicende a Castelverde). Il titolo deriva dall’infantile emotivo odio del protagonista per i polacchi ovunque collocati e i ceci comunque cotti, un’associazione mentale con oltraggi e morte, confermata dai casi della vita. Il corposo romanzo è molto bello, mai noioso o pedagogico o pedissequamente cronologico.
La formazione di un uomo ipersensibile
Riapprendiamo quanto sia assurdamente difficile combattere la pedofilia sia per le colpe delle gerarchie oggettivamente complici (tramite le missive dall’Austria abbiamo una precisa ricostruzione storica di come la Chiesa Cattolica abbia sempre messo a tacere i misfatti con la scusa di evitare scandali) sia per le dinamiche sociali nelle piccole comunità (Tania si attiva senza successo per una denuncia, bisognosa di “prove”, che rischia comunque di rendere ancor più drammatica la vita delle vittime). Ma soprattutto seguiamo la crescita e la “formazione” di un uomo ipersensibile nell’approccio con il dolore e nella scoperta degli altri umani (parenti, avventori del bar, amici, ragazzine, compagni di scuola e gioco) oppure dei modi di dire e chiacchierare, del giocare e dell’apprendere, dei cambiamenti fisici ed emotivi, del fumo e del sesso; presto diventa spesso prepotente cinico crudele violento, senza una dinamica di meccanica causa-effetto fra la fase di traumi occorsi (prima parte) e quella di traumi indotti (seconda). Segnalo la forma mentis del miserabile, a pag. 33. La recita frequente dell’Io confesso lo autoassolve ma non modifica i processi. E Sciascia spiega la paura. Passito di Pantelleria e congrua musica al juke-box (Tania preferisce Vasco).
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