Sul solco del racconto odeporico “Il viaggio in Sicilia” del poeta e intellettuale Ibn Jubayr, musulmano nato nella penisola iberica nel dodicesimo secolo. Pagine che tengono insieme chiarezza descrittiva e poeticità delle descrizioni. Costante, con qualche piccolo cedimento, la linea di tensione religiosa, Ibn Jubayr alza una barriera tra le due fedi e tutto ciò che rappresentano e denuncia il tentativo di far abbracciare agli islamici la fede dei cristiani
Inverno 1184, una nave attraversa il Mediterraneo, la navigazione non è affatto facile, a bordo i naviganti pregano per la salvezza dalla tempesta, alcuni invocano il Dio cristiano, altri Allah e Maometto. Su quella nave viaggia Ibn Jubayr, poeta e intellettuale partito nel 1183 dal porto di Granada per un pellegrinaggio nei luoghi santi della sua religione.
Un pellegrinaggio
Ibn Jubayr è un musulmano nato in Al-Andalus, come si chiamava un’ampia parte della penisola iberica sotto il dominio degli Almohadi. Ha trasgredito la legge, esagerando con l’alcol, e compie dunque il pellegrinaggio per la sua purificazione. Arriva alla Mecca e ci resta per 9 mesi, passa anche per Aleppo, Baghdad e Mosul, e giunge in Sicilia, nel viaggio di ritorno, tra la fine del 1184 e i primi mesi del 1185. Del suo lungo viaggio Ibn Jubayr lascia un accurato resoconto, che viene considerato la sua opera più importante.
Nel 1906 fu pubblicata la prima edizione in italiano dell’opera di Ibn Jubayr, tradotta da Celestino Schiaparelli (oggi consultabile online all’indirizzo https://gallica.bnf.fr/ark:/12148/bpt6k370190p/f17.item), adesso Adelphi ha avuto l’ottima idea di estrarre la parte del resoconto che riguarda il viaggio in Sicilia e proporla con una traduzione più attuale, arricchita dalla nota conclusiva di Giovanna Calasso, curatrice del testo, che offre interessanti spunti di lettura, entrando nello spirito del testo, nelle intenzioni letterarie del suo autore.
Vari livelli di lettura
In effetti nel resoconto di Ibn Jubayr vi sono molti livelli di lettura, tutti ricchi di fascino. In primo luogo l’esperienza del viaggio per mare, con i suoi pericoli, gli infiniti imprevisti. La navigazione da Acri a Messina, la prima città siciliana in cui Ibn Jubayr e i suoi compagni approdano, non è affatto tranquilla, si susseguono le tempeste e un lungo periodo di bonaccia. Allo stesso modo, in seguito, non sarà facile la ripartenza dalla Sicilia alla volta di Granada. La testimonianza attenta del narratore ci restituisce il sentimento di trepidazione e speranza con cui doveva essere affrontata ogni navigazione, ci permette di interpretare meglio anche il significato che il viaggio per mare ha assunto nella letteratura antica, la vasta gamma di risonanze emotive, psicologiche, culturali, che assumeva per gli uomini di un tempo.
La bellezza dei luoghi
Vi è poi la descrizione delle città siciliane, delle loro corti, dei paesaggi dell’isola. Gli incontri con i musulmani ancora residenti a Messina, Palermo, Trapani, nonostante queste città siano passate sotto il dominio cristiano da circa un secolo. Ibn Jubayr non scrive una cronaca di viaggio, ma un’opera che si inserisce nel genere letterario del racconto odeporico, e nelle sue pagine si coglie l’intento di tenere insieme la chiarezza descrittiva con la poeticità delle descrizioni. Nel tratto che va da Messina a Cefalù, dice “Lasciammo vagare lo sguardo sui terreni e i villaggi che si susseguivano uno dietro l’altro e sulle fortezze in cima alle montagne e scorgemmo sul mare alla nostra destra nove isole [le Eolie] che si elevavano come montagne: da due di esse, poco distanti dalla costa della Sicilia, usciva continuamente fuoco e vedevamo salire fumo, che di notte appariva rosso acceso, con lingue che si innalzavano verso il cielo. È il famoso Vulcano. […] accade talvolta che vomiti una grossa pietra lanciata in aria dalla potenza di quel soffio che le impedisce di fermarsi e ricadere sul fondo. E questa, fra le cose che si sentono raccontare e che più suscitano stupore, è cosa vera” E subito dopo, alla descrizione di quanto ha visto con i suoi occhi, aggiunge quello che evidentemente gli è stato raccontato, sull’Etna, “in certi anni il fuoco ne erompe in modo tale che sembra « la fiumana straripante della diga », e bruciando tutto quanto trova sulla sua strada arriva al mare, scavalca col dorso la superficie dell’acqua e vi si tuffa”. Lo sguardo di Ibn Jubayr sa cogliere la bellezza dei luoghi, siano essi naturali o architettonici, e la ripresenta in forma di “meraviglia”: “il suo porto è il più meraviglioso di tutti i porti dei paesi marittimi”, dice a proposito di Messina; “uno dei paesi più meravigliosi che Dio abbia creato”, a proposito della fertilità della Sicilia; a Palermo, in una sala del palazzo, “restammo colmi di meraviglia”. D’altronde, Ibn Jubayr afferma con decisione che Palermo è la città più bella della Sicilia. Nella sua descrizione mette da parte perfino, ma solo per poco, l’obiettivo di descrivere in senso negativo le città governate e abitate dai cristiani, come aveva fatto invece per Messina, “maleodorante e piena di sporcizia, squallida…”.
L’odio per i cristiani
La tensione del confronto tra cristiani e musulmani è il vero filo conduttore del racconto, puntellato da frequenti invocazioni dell’autore verso Dio. La sua disposizione è chiara, fin dalle prime pagine del racconto, quando precisa che sulla nave, salpata il 6 ottobre da Acri, erano saliti, insieme ai musulmani, migliaia di cristiani, ma “Dio per sua grazia e bontà ci liberi al più presto della loro compagnia”. Al suo Dio chiede che i regni cristiani siano distrutti, che siano affondate le flotte dei loro re, che le loro donne siano fatte prigioniere dei musulmani. La Sicilia che che visita Ibn Jubayr è ancora una terra popolata da musulmani e cristiani, vi si parla latino, greco e arabo, ma il dominio normanno costringe i musulmani ad una condizione di inferiorità. Il drammatico incontro, a Trapani, con il capo dei musulmani siciliani, è l’occasione per descrivere le condizioni in cui vivono, la sottomissione e le ingiustizie che patiscono. E poiché Ibn Jubayr è un uomo di fede, sottolinea che la cosa davvero terribile non è la sottomissione giuridica, i tributi che vengono imposti ai musulmani, tutte cose gravi e odiose, ma il tentativo di far abbandonare ai musulmani la loro religione, di convincerli ad abbracciare la fede dei cristiani. Giovanna Calasso, nel suo commento, segnala questa continua linea di tensione nelle pagine di Ibn Jubayr, come un elemento chiave del libro, il bisogno di tenere alta la barriera tra le due fedi e tutto ciò che rappresentano. Come se superare le barriere tra cristiani e musulmani, non considerarsi così diversi, addirittura apprezzare le opere gli uni degli altri, fosse in realtà una tentazione da combattere, un rischio contro il quale tenere alta la guardia. Eppure l’autore nota come Palermo somigli a Cordova, che le donne di questa città si vestono e adornano come donne musulmane, conoscono l’arabo, ma non vi coglie niente di bello, di positivo.
La separazione e la fusione
Anche per questo Viaggio in Sicilia (138 pagine, 13 euro) è un libro da leggere e rileggere, perchè ci parla del Mediterraneo e delle sue rotte, dell’intreccio dei suoi popoli, di una separazione che Ibn Jubayr, con i suoi occhi velati dalla cultura dello scontro e della contrapposizione, cerca a tutti i costi, anche quando nel mondo che descrive il confine è tanto difficile da trovare, e forse sono tanti di più i segni dell’incontro e della fusione, ed in quei segni la vera meraviglia del Mediterraneo, di allora come di adesso.
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