Una stagione caldissima di politiche migratorie nazionalistiche in Francia è al centro del più recente romanzo di Dominique Manotti, “Marsiglia ’73” – sequel di “Oro nero”, con il commissario Théodore Daquin alle prese con l’assassinio di un sedicenne di origini algerine
Marsiglia. Agosto 1973. Prologo: la situazione dei migranti in Francia dopo l’autunno 1972 e la circolare governativa Marcellin-Fontanet con gli inventati “illegali” candidati all’espulsione dall’estate del 1973. Il mercoledì di ferragosto è il primo giorno di pausa dall’inizio del mese per Théodore Daquin, possente 27enne, occhi e capelli castani, spalle larghe e volto quadrato; fra i primi al corso della Scuola dei commissari; per un anno al servizio di sicurezza dell’ambasciata di Francia a Beirut; da marzo assegnato al Vescovado di Marsiglia, sede del Servizio regionale di polizia giudiziaria, il più giovane commissario. Lo chiama Vincent Royer, un avvocato in carriera (membro di uno studio specializzato nella difesa dei malavitosi marsigliesi), ex compagno della facoltà di legge di Parigi, là scoprirono parallelamente la gioia di accettare la propria omosessualità, ora trascorrono insieme belle ore per una serata di gusti e passione, il loro è un rapporto amoroso clandestino, sporadico tiepido confortevole.
Un ragazzo ucciso a sangue freddo
Al suo arrivo Théo era stato coinvolto nell’indagine intorno all’assassinio di Maxime Pieri, un grande imprenditore di trasporti marini con un passato nella criminalità organizzata, gestita in modo corretto, a parere di tutti. Ha una piccola squadra della Brigata Criminale, di soli due (ottimi) uomini, gli ispettori Grimbert e Delmas. Ora sono arrivati per secondi sulla scena del delitto a sangue freddo di Malek Khider, un benvoluto 16enne francese di genitori algerini, ammazzato per la strada da un killer con i complici a bordo di due auto, chiaramente un bersaglio di un raid antiarabo, forse compiuto da poliziotti, forse coperto dagli agenti della Sicurezza urbana. Conflitti interni ed esterni per l’animalesco atletico parigino Théo, con un triste passato alle spalle e un futuro presto lontano dal Mediterraneo, si muoverà con acume per andarsene da Marsiglia e fare giustizia, almeno un poco.
Dominique Manotti (Parigi, 1942), colta solida lucida ironica, già docente di storia e sindacalista, da oltre venti anni si è dedicata alla bella e militante scrittura, una quindicina di splendidi romanzi (questo è il sesto con lo stesso protagonista, qui però agli esordi), molto apprezzati anche in Italia sugli intrecci fra criminalità e finanza nella storia europea e planetaria, con spunti francesi (sull’immigrazione alcuni paesi europei hanno corsi e ricorsi storici e giuridici).
Un razzismo endemico e contingente
L’ultimo di Dominique Manotti (in terza varia al presente), Marsiglia ‘73 (401 pagine, 15 euro), tradotto da Francesco Bruno per Sellerio, è uscito a fine 2020 in Francia ed è attualissimo nel nostro paese: vi si affronta un noto caso europeo di politiche migratorie nazionalistiche, con la dovuta attenzione alla specifica evoluzione delle relazioni con l’Algeria, visto che dopo De Gaulle tornarono anche i pieds noirs. La crisi dell’estate e dell’autunno 1973 fece davvero quasi 15 morti nella comunità algerina di Marsiglia (solo due assassini identificati), una cinquantina in Francia, tanti non luoghi a procedere e archiviazioni; continuò per almeno altri 2-3 anni. Daquin, dopo essersi scontrato col contesto corso-marsigliese della French Connection e con l’avversione brutale verso i “finocchi”, qui fa i conti col razzismo, endemico e contingente, istituzionale e sociale, incistato nei pubblici apparati e anche nella polizia. È un sincero combattente (buon giocatore di rugby), quietamente non esibizionista, e ha già ben imparato a muoversi, cucina bene e beve meglio, si salva anche grazie a una notte d’amore con la gallerista americana incontrata qualche mese prima. Il bel romanzo è, infatti, il seguito di Oro nero (2015), tornano molti personaggi e lo sfondo coinvolgente di Marsiglia, dove i parigini faticavano a capire che La Canebière era una frontiera: a nord immigrati tollerati, a sud banditi. Nadia è stufa, virtualmente a metà strada, e ha un vaso di Murano in ufficio. Vini bianchi e tanti altri alcolici meticci.
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