Stile e lingua unici, l’innovazione di Livia De Stefani

Scrittrice dalla straordinaria originalità sintattica e stilistica, travolgente, affascinante, anche disturbante. Bisogna assolutamente rivalutare Livia De Stefani, autrice di “Viaggio di una sconosciuta”, racconto cupo, forse anche macabro; protagonista una giovane donna attaccata ad una valigia chiusa, metafora della condizione della donna negli anni Cinquanta, che vaga per una Roma afosa, assolata, divincolandosi tra approcci maschili tipici della cultura patriarcale italiana…

Quella è mimosa recisa.

Fa sole nel buio dellaltare.

Gli occhi la vedono ma il cuore non balza.

È gialla, tenera. Pulcini.

La reggono nudi ossicini, è scalza.

Comei morti i neonati gli uccelli:

Transiti, testimonianze.

Come un messaggero di cose celesti.

Quelle che lanima mia 

più non sattende da quando 

loceano damore m’è sfuggito dal grembo 

lasciandomi il peso del sale.

Sotterraneo peso,  refurtiva

che non vale nulla.

LDS

Il libro di Livia De Stefani, Viaggio di una sconosciuta (192 pagine, 16 euro) è un’esperienza sensoriale linguistica e stilistica a tutto tondo. La cosa con cui il lettore si approccia subito, e che lo disorienta, è la lingua usata. Straordinariamente moderna.

A distanza di settant’anni dalla stesura la sensazione è ancora quella di disorientamento che, probabilmente, pesò molto anche sulla sua fama contemporanea, penalizzandola. Possiamo facilmente immaginare, la portata innovatrice e dirompente che ebbe all’epoca in cui scriveva: anni 50. Anni 50 in Italia, con tutto quello che significava a livello culturale e socio politico. 

Tutte le sfaccettature di un talento

Livia De Stefani rivela una visione e uno sguardo sul mondo del tutto diversi da quelli a lei coevi e inaugura una struttura e una composizione linguistica e narrativa tutta nuova. Il segno distintivo di questa originalità sono l’uso e il passaggio repentini tra la prima persona e la terza persona narrante e l’accorciamento delle distanze nell’utilizzare e cambiare, anche all’interno della stessa frase, il tempo verbale. Un unicum, forse nel panorama narrativo di quegli anni. Livia De Stefani rivela una potenza stilistica sperimentale straordinaria, unita a un lessico che si traduce in immagini molto personali” “La voce le rimise intorno la piazza, con la sua raggiera di sbocchi(…) La voce era pigra, il passo che risuonava dietro ai suoi, misurato, come il battito di una vena.” Una spiccata duttilità artistica che l’operazione editoriale di Cliquot edizioni ha saputo presentare in modo compiuto, rivelando l’intento della rivalutazione di questa scrittrice che, assieme a molte altre, era scomparsa dalla storia letteraria dal tempo in cui scriveva ad oggi. Viaggio di una sconosciuta più che un libro è infatti una specie di compendio, diviso in tre parti, in cui si spazia dalla forma del racconto lungo a quella del racconto brevissimo, fino alle poesie, permettendo così di ammirare tutte le sfaccettature artistiche e il grande talento della scrittrice.

Nel prosieguo dell’attività letteraria, Livia De Stefani sarà ricordata come una fautrice della libertà e delle affermazioni, anche politiche, femministe. Precorse i tempi nel denunciare, nella società siciliana, la presenza della mafia. Anticipò battaglie a tema del corpo delle donne che avrebbero preso forma e si sarebbero esplicitate appieno venti, e anche più, anni dopo. 

Mondo borghese e condizione della donna

Ma in questo libro di racconti, che non è l’unico della sua produzione (ricordiamo anche il pregevolissimo Gli Affatturati, pubblicato da Elliot), possiamo apprezzare l’approccio di De Stefani alla società borghese italiana, e alla condizione femminile. 

Dal punto di vista strutturale, l’intreccio temporale che Livia De Stefani crea è talmente serrato che dà origine ad un’autentica vertigine analettica, un’andirivieni concitato di verbi e voce narrante che spezzano un flusso di coscienza con incursioni nella memoria e conducono il lettore nella storia della “sconosciuta”. Di quest’ultima, non sappiamo nulla, tantomeno il nome: “I lumi si fusero in un nastro di ardente azzurro e i frantumi di vetro, inghiottiti col filo derba, scesero a squarciare nelle tenebre dei visceri altri spiragli di memorie di quel viaggio della sconosciuta che trascinava per luoghi e fra vicende misteriose la sua ombra; implicando qualcosa di lei, pesantissimo; che le riusciva di capire che fosse e perché le picchiasse tanto disperatamente nel cuore”. È simbolico l’intento di universalismo di De Stefani, che fa di una giovane donna attaccata ad una valigia chiusa un’esempio che squarci il velo sulla condizione della donna in quegli anni. Ed è metafora sottile il suo vagare per una Roma afosa, assolata, divincolandosi tra approcci maschili tipici della cultura patriarcale italiana e con scene di cui, con maestria, ricostruisce sapori, atmosfere, abitudini e cultura. Una serie di madeleines si succedono racchiuse in una parola, un profumo, una scaglia di luce che batte sul muro antico dei palazzi di Roma, piuttosto che su una strada, durante il cammino della sconosciuta o nel calore umano di un uomo molesto che le si accoda sprezzante del suo rifiuto di essere accompagnata: spronano la memoria che si ricongiunge a tutto ciò che oggi è trattenuto nella valigia, serrata, che la sconosciuta custodisce e protegge gelosamente. Ogni tanto un nome, Agostino. Ed è Agostino la storia della sconosciuta. 

De Stefani scrive un racconto cupo, che potrebbe anche diventare macabro quando il lettore scoprirà cosa custodisce la valigia della ragazza, eppure questo non accade perché il lettore non avverte mai quel tono nella narrazione che rimane sostenuto dalla luce tagliente e intensa di Roma. La caratterizzazione della città è un altro punto di forza del racconto. È ambientazione, ma anche alleata della protagonista e De Stefani ne ricostruisce fedelmente il carattere in tutte le sue striature di strade, palazzi, dialetto e abitudini.

Varietà di registri narrativi

Livia De Stefani si dimostra scrittrice dalla straordinaria originalità sintattica e stilistica travolgente, affascinante, anche disturbante; non è facile l’avvicinamento alla sua scrittura, almeno sulle prime del racconto che dà il nome alla raccolta, ma poi si apre l’incantesimo dell’unicità e della meravigliosa lingua dell’autrice. 

La raccolta di racconti brevi, scritti tra il 1955 e il 1958, ospitati nella seconda parte del libro fa apprezzare comunque una varietà di registri narrativi pirotecnica, seppure il fervore che ci aveva spiazzati e ammirati nella prima parte si acquieta. Troviamo infatti una scrittura più tranquilla che si fa scintillante, fresca, colorata, vivace, regalando altri piaceri di lettura anche al lettore meno spericolato o poco abituato ad inerpicarsi per le vette della abilità narrativa. 

De Stefani è una scrittrice italiana di primissima serie, poliedrica che ha illuminato il panorama letterario con la sua altissima capacità di variare lo stile tradizionale, immettendo tecnica e stile all’avanguardia. Peccato che il lettore non ne abbia saputo nulla finora!

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