È un autore indispensabile Sadeq Hedayat, tra i maggiori persiani di ogni tempo. La raccolta “Il randagio e altri racconti” è un libro arazzo, dalla scrittura unica e piacevolissima. Tutti i personaggi conducono vite grigie e dominano i propri desideri, giungono a un punto di non ritorno. Un Medioriente realissimo (con un po’ di realismo magico) che costò tanto ad Hedayat: i suoi libri furono banditi e lui fu costretto all’esilio…
Prima ancora che si parli del Randagio e altri racconti, di Sadeq Hedayat è doverosa una precisazione sul prestigioso autore. Hedayat è uno scrittore persiano conosciuto in Italia soprattutto per il suo capolavoro La Civetta Cieca, publicato da edizioni Carbonio. È a questa casa editrice che dobbiamo il merito di aver portato in Italia colui che è considerato il più illustre rappresentante della letteratura persiana, attraverso un lavoro di traduzione diretta, dalla lingua madre all’italiano, senza alcuna mediazione di terze lingue dovuta al lavoro prezioso della grande Anna Vanzan che, qui vogliamo altrettanto ricordare, fu illustre iranista e islamologa italiana, da poco scomparsa. Il decimo racconto della raccolta, per scelta della casa editrice, è rimasto infatti non tradotto, e non figura nel libro. Un gesto di ossequio di altri tempi, impossibile da non apprezzare.
Coniugando oriente e occidente
Hedayat ha avuto la straordinaria capacità di mediare, in letteratura, tra l’apertura intellettuale che gli regalarono le sue esperienze di vita, svolte per motivi politici e di studio in paesi occidentali e la cultura tradizionale della sua madre patria. Figlio di una famiglia nobile, ebbe infatti la possibilità di studiare in scuole occidentali e di viaggiare molto per l’Europa. Si stabilì in Francia più volte per studio e per esilio e fu proprio il luogo dove poi, a soli quarantotto anni, nel 1951 si tolse la vita.
A contraddistinguere l’opera letteraria di Hedayat è proprio il permanere di un punto di osservazione dell’umanità, della cultura e della società persiana di tipo orientale coniugato con stili e tendenze culturali occidentali.
Queste esperienze di viaggio che lo portarono fino in India, ne fecero un grande intellettuale, critico letterario e traduttore persiano, si dedicò perfino allo studio della lingua pahlavi, che poi sarebbe diventata lingua ufficiale dello Stato persiano sotto lo Scià Reza Pahlavi.
La raccolta di racconti Il randagio ed altri racconti unisce l’insieme dei racconti pubblicati da Sedaq Hedayat tra il 1930 e il 1942, già pubblicati in diverse antologie. Si tratta di un libro pregiato, che lascia trasparire il grandissimo talento di narratore di Hedayat e la sua straordinaria capacità di far vivere scene e situazioni attraverso oggetti, ambientazioni come solo i grandi narratori sanno fare. La raccolta riflette molto nei toni e nelle tematiche la vita errabonda che condusse l’autore, nonché riporta impronte dell’esistenzialismo che permeava gli ambienti intellettuali francesi con cui venne a contatto, e che permea i suoi racconti con una costante sensazione di sconfitta e rinuncia.
Esaltando la debolezza umana
Hedayat ha esaltato sempre nei suoi scritti, e anche questa raccolta lo dimostra, la debolezza umana, intrecciando fatalmente il suo destino e la sua letteratura. Dal punto di vista personale, arrivando al tragico epilogo, ma da quello narrativo, descrivendo micro realtà umane cupe, che non riescono a disinnescare la decisione del fato nei loro confronti, schiacciate da una sensazione di ineluttabilità. Rinunciatarie e ripiegate su se stesse.
Anche i nove racconti della raccolta de Il Randagio ne sono avvinti, e quella sensazione di vite bloccate e senza scampo arriva al lettore diretta, tangibile.
Quando si chiude l’ultimo racconto si capisce di quale umanità parla Hedayat attraverso varie simbologie e metafore con cui riveste e arricchisce le storie quotidiane di cui parla, è un’umanità sconfitta dalla situazione sociale e politica, un’accusa nemmeno troppo velata al regime, che ci restituisce la Storia del paese persiano fino agli anni ’50.
I tratti dei personaggi nel Randagio e altri racconti (160 pagine, 14,50 euro), sono comuni tra loro; tutti soggetti con la testa piegata, che conducono vite remissive, grigie, che dominano i loro desideri, qualora ne abbiano, o vi rinunciano, non c’è possibilità di riscatto anche quando è voluta e messa in atto come per il protagonista di Dash Akol; spose bambine e altre realtà drammatiche relative al mondo femminile sono descritte in modo fedele, quasi giornalistico, in modo così lucido che talvolta arrivano a respingere il lettore. Mai però si è tentati di interrompere la lettura per non privarsi di una scrittura unica e piacevolissima. Aldilà delle tematiche, certamente non brillanti che tratta nei suoi racconti, è infatti impossibile non rimanere catturati dal meraviglioso stile di scrittura dell’autore.
Stile poetico, incipit folgoranti
Pulito, incisivo, scarno senza essere arido, altamente poetico. Una serie, senza eccezioni, di incipit folgoranti con i quali il lettore viene trascinato subito nell’ambientazione che fa da sfondo alle storie e soprattutto che imprime il carattere alla narrazione che segue.
I racconti partono sempre da situazioni reali per sfiorare poi, in alcuni casi, il realismo magico, attraverso l’inserimento di componenti narrative tipiche del genere. È proprio a proposito di questa raccolta che The Guardian è giunto a definire Hedayat come padre del realismo magico persiano.
È materiale la sensazione di essere venuti a contatto con una scrittura originale nel suo genere, cristallina, con una agilità naturale nello strutturare il racconto, spesso autoconclusivo, inserendovi tutti gli elementi tipici del genere letterario, in un equilibrio raramente apprezzabile altrove.
Il Randagio, ultimo racconto della raccolta, riassume tutta la filosofia che la pervade: l’umanità è randagia, Hedayat è stato randagio, tutti noi erriamo, cercando un posto al quale appartenere e non è detto che sia la nostra patria, forse siamo solo noi stessi. Tutti noi abbiamo delle parti in ombra, qualcosa che gli altri non possono apprezzare, qualcosa che viene castrato dall’esterno, esemplare in tal senso il racconto Haji Morad che apre la raccolta o da noi stessi, come nel magnifico La bambola dietro alla tenda, dove il protagonista si innamora di una statua e convive con essa piuttosto che vivere un rapporto un carne e ossa.
Storie di denuncia, altro che Mille e una notte
Malgrado il libro possegga tinte cupe lascia intravedere, sotto la narrazione, tutti i variegati colori della Persia. Un libro arazzo, dalla trama fitta, preziosa raffinata, minuta come i tappeti tessuti dalla sua tradizione su cui può accadere che si posi una patina che mette in ombra i colori vividi, ma non li cancella. Dalle pagine di Hedayat il lettore sente salire i profumi delle sale da tè, sente il tintinnìo delle tazze, il rumore e il vociare nei vicoli, ascolta il chiacchiericcio delle persone, il passo delle persone in strada, sente i profumi che escono dalle case, il fruscìo delle tende che si spostano quando i suoi personaggi si muovono, vede le espressioni dei personaggi, ne annusa la pelle.
L’autore persiano ha una scrittura materica, sensoriale che premia l’immedesimazione in ogni momento e capace di ammaliare chi legga.
Hedayat arriva dritto al punto di non ritorno di ciascuno dei suoi protagonisti e l’umanità che questi compongono descrive un Medio Oriente che non è quello delle Mille e una notte. Proprio questa sua scelta, questa vocazione alla denuncia per mettere in luce la reale situazione della sua patria gli costò l’esilio e, tuttora, l’emarginazione dei suoi libri, acquistati solo al mercato nero.
Per contrappasso però, gli è valsa anche il riconoscimento internazionale come uno dei più grandi scrittori persiani di tutti i tempi.
Il Randagio e altri racconti è un’opera dello stesso valore del suo capolavoro riconosciuto La Civetta Cieca, da leggere non solo per godere di uno straordinario talento, ma anche per capire la storia di un paese e conoscere un autore, troppo poco diffuso, ma che al lettore attento diventerà indispensabile.
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