Tra un disco di Brel e una passeggiata c’è tempo per tornare su due romanzi di Georges Simenon, “La neve era sporca” e “I complici”. Nel primo c’è la distanza tra realtà e desiderio, la morte, il bisogno perenne di tragedia, la consapevolezza che l’amore è comunque una violazione; dal secondo emerge come la complicità con noi stessi ci sveli finalmente un barlume di quella verità tanto cercata…
Ci sono mondi letterari sterminati di cui, una volta entrati, si può decidere, spesso, di restare prigionieri volontari. Penso a Proust, a Balzac ma anche al nostro Pirandello. Ma penso in questi giorni, soprattutto a Simenon.
Suppongo sia superfluo fare la conta dei romanzi dell’autore nato a Liegi, tra quelli dedicati al commissario Maigret e quelli bellissimi al di fuori della serialità: centinaia di titoli che hanno accompagnato generazioni di lettori.
Ferito di piacere, ascoltando Brel
L’altro pomeriggio, mentre osservavo le evoluzioni di alcuni cumuli in cielo che stavano preparando un tipico temporale estivo appenninico – poi arrivato seppur molto debole – non so perché, mi sono deciso ad aprire un cofanetto dedicato a Jacques Brel (belga anche lui). Vivere un periodo di vacanza restando nella propria casa è un privilegio: si possono, ad esempio, ascoltare finalmente quelle musiche le cui copertine guardi da tutto un anno, e si può godere di un’intimità che, incredibilmente, sul far del crepuscolo, assomiglia a quella dicembrina, silenziosa, immota, reminiscente.
Ho ascoltato alcuni grandi classici di Brel, Quand on n’a que l’amour, Les vieux, La valse à mille temps e poi è iniziata la bellissima Le plat pays:
Quand le vent est au rire, Quand le vent est au blé, Quand le vent est au sud, Écoutez-le chanter, Le plat pays, Qui est le mien
(Quando il vento ride, Quando il vento soffia, Quando il vento è a sud, Ascoltalo cantare. Il paese piatto, Che è il mio.)
Era la canzone preferita proprio da Georges Simenon. A poco a poco, i luoghi, i climi, le campagne nella pioggia, i saloni delle case, tutto dei suoi libri ha cominciato a inseguire nella mia memoria le note di Brel: ho vissuto un momento perfetto, di quelli che, giunti nella piena età adulta, diventano sempre più rari, inaspettati, e feriscono di piacere.
Autocoscienza, violenza e amore
Ci sono due titoli, editi da Adelphi, che mi piacerebbe rileggere. Il primo è sicuramente La neve era sporca. È il libro dell’autocoscienza, il ricordo del clima torbido del collaborazionismo durante le occupazioni naziste, ma è soprattutto forse la più bella storia d’amore che abbia mai letto. C’è tutto, la distanza tra realtà e desiderio, la morte ovviamente, ma soprattutto il bisogno perenne di tragedia, la consapevolezza che l’amore è comunque una violazione, desiderabile e pura, indesiderata e immonda. Frank, il protagonista del romanzo è ossessionato dalla violenza, uccide, ruba, da in pasto al suo complice la giovane Sissy, innamorata di lui. Non sa amare se non tramite il delitto. Eppure lei, quando ormai Frank è in prigione condannato a morte, lo raggiunge: “Sono venuta a dirti che sono innamorata di te”.
Molti dei romanzi di Simenon sono dei contrappunti sul senso di colpa, sull’inesorabilità della colpa: prima o poi ciascuno di noi incontra per strada la colpa e se ne fa compagno di strada.
La verità sporca
Sto cercando, nella mia libreria, che ho dovuto smembrare temporaneamente, l’altro titolo che il canto arrotato di Brel mi ha riportato alla mente: I complici. Purtroppo non riesco a trovarlo, sarà in qualche scatola ancora da sistemare. Non posso, quindi, leggervi con esattezza le pagine che più mi colpirono alla prima lettura ma, di sicuro, posso provare ad andare a memoria. La storia è una storia semplice. Un uomo e una donna, amanti, sono in auto lungo una strada livida di pioggia, l’uomo sente con la mano la gamba piena di lei, si distrae e causa un incidente terribile: l’autobus che li stava incrociando sbanda, esce dalla carreggiata e prende fuoco, dentro 43 bambini innocenti. L’uomo decide di non fermarsi. Nessuno ha assistito alla tragedia. Risalire a lui, a loro, potrebbe essere impossibile: tentano di vivere ancora la loro vita nella rimozione ma, contemporaneamente, rivivono il loro legame nell’aspro gioco della complicità, cercata invano tutta la vita.
Chi di noi non meriterebbe il giudizio più severo, ci dice Simenon ricordando Proust, se solo si conoscesse quello che siamo. La religione non può servire, l’etica arriva sempre in ritardo all’appuntamento. Nella colpa, la complicità con noi stessi ci svela finalmente un barlume di quella verità tanto cercata, in una sorta di beatitudine rubata al Cielo, e quindi sporca.
È sera. Il solstizio d’estate è già abbastanza lontano nel tempo, la stagione comincia a invecchiare e le ombre arrivano prima. Fuori è silenzio. Il disco di Brel è finito da un po’ eppure ero convinto che ancora suonasse. Lo rimetto per ascoltarlo ancora una volta mentre do ordine ai libri che ho sfogliato per questa breve noterella.
“Sei lì?”, mia moglie è appena rientrata.
“Si, aspetta che arrivo” le rispondo.
Dobbiamo andare a fare due passi.
“Hai letto qualcosa?”, mi chiede lei.
“Sì, ho ripreso in mano Simenon”, le rispondo.
“Spero non La neve era sporca“, mi sorride.
“No, no, non preoccuparti. Ormai lo conosco a memoria”, le rispondo.
“È questo il problema”, sussurra lei prendendomi il braccio.