Un romanzo di presenze e assenze, di distanze, una generazione in fuga, una scrittura rapida e ironica. Dal Veneto più profondo a Roma, a San Patrignano. “Tutti dormono nella valle” di Ginevra Lamberti è il libro ideale per entrare nel suo mondo narrativo. Una storia autobiografica, ma attraverso più punti di vista, reinterpretata, puntellata da figure di fantasia…
La fantastica foto anni Settanta in copertina ci preannuncia che siamo di fronte a una storia generazionale; strizza un po’ l’occhio a quelli che cercano una storia d’amore (c’è anche quella), ci sussurra, in qualche modo, col bianco e nero, che il tempo è una componente essenziale di quello che ha deciso di raccontare stavolta Ginevra Lamberti, classe 1985, autrice di talento: me ne ero accorto, “scoprendola” al premio Mondello 2020, quando il riconoscimento era andato al suo secondo libro, Perché comincio dalla fine, uscito per Marsilio; il suo debutto, invece, era stato pubblicato da Nottetempo, La questione più che altro, dove era stata scoperta da Chiara Valerio (in questa intervista la citava espressamente), che l’ha voluta ancora con sé, dopo aver iniziato a lavorare per l’editore veneziano.
L’orologio con tre minuti di ritardo
Il tempo è una componente essenziale di Tutti dormono nella valle (221 pagine, 17 euro) di Ginevra Lamberti, edita ancora da Marsilio? Decisamente, e non solo perché ne è passato parecchio da quello che vivono i protagonisti del romanzo. Anche perché nella remota provincia inizialmente al centro del plot – l’alto Trevigiano, un Veneto rurale davvero d’altri tempi – ogni cambiamento arriva in ritardo. Tanto che anche l’orologio del campanile ha tre minuti di ritardo. Chi non vuol restare indietro, chi non intende dormire è Costanza (il principale punto di vista il suo, anche se il romanzo resta corale): fuggire, per lei, è probabilmente la sola opportunità, per mettere distanza fra se stessa e il passato di avi legati alle terra, per allontanarsi da un immobilismo di fondo, per cancellare l’incomunicabilità con la generazione dei propri genitori. Andrà nel mondo, sperimenterà, improvviserà, si ribellerà, si immergerà nei grandi cambiamenti sociali degli anni Settanta, finirà nella capitale, si innamorerà di Claudio, ragazzo alle prese col vortice dell’eroina, tanto da finire nella comunità di San Patrignano per disintossicarsi. Lo stesso luogo in cui nascerà Gaia e l’iniziale, G, non è del tutto casuale, anche Ginevra Lamberti è nata lì.
Più di una domanda
C’è del materiale autobiografico in queste pagine di Ginevra Lamberti, c’è la storia familiare riveduta e corretta, ha avuto modo di capire la stessa autrice, storia passata attraverso più punti di vista, reinterpretata, puntellata da figure di fantasia, inventate di sana pianta. È riduttivo parlare di questo romanzo di Ginevra Lamberti come di una saga: è un romanzo impreziosito da una prosa ipnotica, rapida, a tratti ironica, e da un andirivieni temporale gestito magnificamente, chi legge non perde mai il filo. E poi c’è uno sguardo raro sul mondo e più di una domanda di fondo che aleggia, senza necessariamente avere una risposta: la generazione dei Claudio e delle Costanza ce l’ha fatta? Si sono sottratti a una vita che non volevano? E che mondo hanno creato?
La vita, senza piagnistei
Un romanzo di presenze e assenze, di distanze, come non se ne leggevano da un po’, almeno in Italia. Ginevra Lamberti non è un fuoco fatuo, va coltivata dall’editore che lo pubblica, guardata con attenzione dagli altri. Ha scritto un romanzo che sarebbe bello vedere in giro, uno di quelli che non si lasciano a casa, ma si portano dietro, per continuare a leggerlo un po’ dove capita. È un libro pieno di vita vera, si cade, ci si rialza, si scappa, si torna sui propri passi, senza piagnistei. Se ancora non la conoscete, questo suo ultimo libro è quello ideale per entrare nel suo mondo narrativo, per assaporare la sua scrittura.
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