In “Rose Blanch”, ode al dolore e all’amore di Ian McEwan, la piccola omonima protagonista ci indica una scappatoia dalle piccole meschinità che oscurano tutti i possibili orizzonti di speranza, e soprattutto dalla nostra paura del domani di cui non v’è certezza…
In un’assolata mattina siciliana mentre mille incombenze familiari assorbivano le mie energie (che di base già scarseggiano), un volto bambino, delicato ma serio, troppo assorto per i suoi giovani anni, attirava la mia attenzione come una lucciola in una malinconica serata estiva. Ian McEwan, il suo nome campeggiava su un libriccino che aveva il grigio colore dei ricordi, e già questo nome costituiva garanzia di qualcosa di unico nel suo genere, come è assolutamente incomparabile l’autore di Espiazione. Rose Blanch edito da Marotta e Cafiero nella traduzione di Giosuè Bellavista (13 euro per una manciata meravigliosa di cerulee pagine, nemmeno numerate perché la poesia non può essere sottoposta a censimento) rappresenta infatti una gemma preziosa che riluce nel buio delle nostre stanche coscienze, un antidoto al veleno di una vita in cui tutti rischiamo l’abbrutimento laddove non riusciamo a trovare il tempo per contemplare la bellezza delle piccole cose, la dolcezza racchiusa in un abbraccio che consola le nostre lacrime inconsolabili, la tenerezza della voce del mare che ci richiama alla vastità dei nostri desideri, la grandezza dell’animo dei fanciulli che racchiude un tesoro che andrebbe custodito come un bocciolo di rosa che attende l’alba di un giorno di Speranza per aprirsi al mondo.
Un fiore nel deserto
Ian McEwan vuole che la piccola Rose bruci dentro la parte più profonda della nostra nostalgia, che palpiti nei sospiri della nostra più amara compassione, per ridestare in noi che teniamo fra le mani quest’ode al dolore e all’amore il sentimento della nostra più autentica umanità. Rose siamo noi quando l’innocenza brillava sulle nostre gote, quando tendevamo la mano protesi verso un’aurora di fiducia e il mondo era tutto lì in quei piedini che cercavano la gioia. La tenerissima Rose è il Bene che trionfa sul male che vince, è la purezza che salva dall’orrore della guerra, di ogni guerra, fra nazioni, fra popoli, fra i muri gelidi di una casa di periferia, fra cuori in lotta per un brandello di giustizia. Il fiore della gentilezza fiorisce ad ogni pagina insieme al disvelamento della profonda inadeguatezza del mondo degli adulti, aridi spettatori di un destino di Salvezza che spesso li sfiora senza scalfirli.
I figli di Medea
In quest’opera struggente di McEwan urla vendetta il pianto dimenticato di tutte le creature innocenti stritolate dal corso inesorabile della storia e dalla mano implacabile dell’uomo. I figli di Medea seminati dall’odio e dall’indifferenza chiedono di non essere risucchiati dal buco nero dell’oblio, vogliono essere cullati nell’abbraccio di un ricordo che ricomponga i frammenti della loro dignità calpestata, riconsegnandoli al mondo per celebrare la vittoria degli oppressi, dei dimenticati, di tutti coloro che di fronte al giogo della malvagità, della crudeltà che si nutre di sé stessa, ma anche della malattia che cieca colpisce senza riguardo, non hanno piegato il capo ma hanno guardato in faccia il dolore e i sogni spezzati, facendo rifulgere di splendore accecante la stella del coraggio e dell’orgoglio di novelli Isacco che si consegnano alla morte sperando nella Vita, in una prospettiva di eternità che rende il loro ultimo canto una melodia dalla Bellezza incommensurabile e incomprensibile a sguardi anestetizzati da un tempo che scorre vuoto di senso.
L’urlo di Demetra
Per una Medea che scaraventa furiosa tutto il veleno della sua infelicità su coloro che avrebbe dovuto nutrire con il latte della sua tenerezza, cento Demetra vanno in cerca della loro amata Persefone, rapita da un destino crudele, che spesso si presenta sotto le mentite spoglie di un amante impaziente e geloso della sua preda. Il lamento soffocato di Rachele che piange i suoi figli e non vuol essere consolata risuona ai quattro angoli del mondo come una melodia notturna di pescatori affranti e sconfitti da un mare crudele che ha rubato loro un domani di gioia.
La piccola Rose indica a noi tutti, che avremmo voluto poterla almeno per un attimo abbracciare, una via di fuga dai nostri egoismi quotidiani, dalle piccole meschinità che oscurano tutti i possibili orizzonti di speranza, e soprattutto dalla nostra paura del domani di cui non v’è certezza, e che proprio per questo va vissuto fino all’ultimo alito di primavera.
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