Cassar Scalia e Vanina ancor più divise fra Palermo e Catania

Un delitto da risolvere a Catania, il passato che torna da Palermo, con l’omicidio del padre. Vanina Guarrasi, vicequestore aggiunto nato dalla penna di Cristina Cassar Scalia, è protagonista del sesto episodio della serie, “La carrozza della Santa”. Ancora un caso da risolvere senza tanti fronzoli, ma accompagnato da un tuffo nel passato

Catania (e Palermo). Febbraio 2017. La mattina del 6, il giorno dopo la festa di Sant’Agata, per caso due studentesse Erasmus francesi scoprono un corpo sgozzato e dissanguato, nell’androne del municipio del capoluogo etneo. Urlano e richiamano le forze dell’ordine. Era dentro una delle due carrozze del Senato, carotide e giugulare recise con un colpo maldestro, probabilmente mirato alla guancia, come se la vittima avesse girato la testa di colpo. Il sindaco telefona al vicequestore aggiunto Giovanna Vanina Guarrasi, trasferitasi da Palermo un anno e mezzo prima e già capace di risolvere vari delicati casi, lei 39enne attraente e decisa, stabilitasi da sola a Santo Stefano, golosa e cinefila. Il morto è il 71enne Vasco Nocera, nullafacente bello danaroso con diverse proprietà, anche fuori città; sposato con la benestante Beatrice Rizzaro, padre di due figli, l’agronomo 38enne Giordano e la commercialista 31enne Agata (lo stesso nome della 92enne arzilla nonna); contatti frequenti anche con una cugina e un fratellastro.

Tra presente e passato

Ulteriori verifiche immediate, rituali interrogatori, tabulati telefonici, il primo tempo dell’indagine è abbastanza lineare e non risolutivo, se non per la scoperta che l’ucciso se la faceva con la 31enne Sergia Vannotta, ex fidanzata del figlio, non bellissima ma alta e prosperosa, in teoria architetta, in pratica abituata alla bella vita. Senonché telefona Paolo Malfitano, procuratore aggiunto ed ex di Vanina (l’amore era sopito e sta rinascendo), annunciandole che il vicequestore Corrado Ortès, dirigente della sezione Catturandi della Mobile di Palermo le chiede di collaborare ancora una volta alla ricerca di Salvatore Fratta detto Bazzuca, l’unico ancora in libertà dei quattro uomini che, quando era una ragazzina, le avevano ucciso il padre a colpi di mitra davanti agli occhi. Vanina partecipa all’azione diretta, che fallisce per la presenza evidentemente di una talpa interna, e fa avanti e indietro per qualche giorno dispensando utili consigli contro la criminalità organizzata e, nel frattempo, trovando il colpevole a Catania, ovviamente grazie pure all’essenziale aiuto soprattutto dell’83enne ex commissario Biagio Patanè.

Luoghi e modi di dire alternativi

La medica oftalmologa Cristina Cassar Scalia (Noto, 1977) continua a scrivere bei gialli, con La carrozza della Santa (284 pagine, 18 euro), per Einaudi, siamo al sesto ben congegnato romanzo dedicato a Vanina, ogni avventura ambientata a pochi mesi di distanza l’una dall’altra, questa volta a ridosso delle avvenute celebrazioni 2017 della riverita santa di Catania (da cui il titolo), con le solite puntate verso l’amata (e cambiata) Palermo, due paesazzi con circa trecentocinquantamila e circa settecentomila abitanti e modi di dire rigorosamente alternativi (non solo arancini e arancine). La narrazione è in terza varia al passato, perlopiù sulla protagonista, oppure sugli altri investigatori: l’affiatata coppia dei risolutori Vanina-Biagio; la coppia di fidanzati un poco in crisi, il Grande Capo 50enne Tito Macchia, due metri per centoventi chili di peso, e la splendida ispettore 30enne Marta Bonazzoli, magrissima salutista; il vice e gli altri agenti in rodaggio; quelli della medicina legale e della scientifica; magistrati e magistrate, tutti con un rapporto variamente intenso con la protagonista.

Impianto classico

L’impianto del romanzo di Cristina Cassar Scalia (nella foto di Giliola Chisté) è sanamente classico: incipit con un cadavere; il delitto da risolvere senza tanti fronzoli con l’emersione dei possibili alternativi responsabili; piste congiunte e separate della coppia Vanina-Biagio (entrambi nell’evoluzione della dimensione pure privata, con i colleghi e con gli affetti); un tuffo nel passato (qui il 1943, anno diverso nella Sicilia liberata rispetto al Nord resistente); chiusa tranquilla ma epilogo con il cenno a un successivo mistero (da raccontare nella prossima avventura della serie). Quando ci si chiarisce nulla di meglio di una bottiglia di Oban da centellinare insieme a un sigaro Partagás, pur se leccornie del bar Alfio e della trattoria Nino sono poi descritte nei dettagli. E che bello ascoltare i brani interpretati dal maestro Tommaso Escher al violino!

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