“Il capro espiatorio” di René Girard è un approfondito studio scientifico che, attraverso un’attenzione filologica ai testi biblici, evangelici e di varia provenienza letteraria vuol far luce sulla storia della persecuzione, a cominciare da quella antisemita, nella cultura umana e nella storia. Una nuova puntata della rubrica Area 22
Ricevuto con piacere e orgoglio l’invito a scrivere per la rubrica Area 22 curata da Nuccio Puglisi (qui i suoi articoli), spazio dedicato alla letteratura ebraica declinata sotto i più vari aspetti, dalla narrativa alla speculazione filosofica, dalla storia alla religione, per la scelta su quale testo approfondire è stato quasi inevitabile per il sottoscritto attingere all’ampio catalogo Adelphi nel quale questa occupa un posto di rilievo grazie alla sempre instancabile attenzione del suo fondatore Roberto Calasso a temi quali quelli del mito e della religione, della riflessione filosofica e della spiritualità.
Il tema del capro espiatorio
Fra i vari autori spicca il nome di René Girard che se non può essere incasellato come provenienza nella letteratura ebraica tout court, l’antropologo, filosofo e critico letterario francese è di estrazione cattolica, ha fatto della sua opera una continua, originalissima e suggestiva riflessione su temi letterari e teologici con approfondite analisi sui testi biblici, focalizzando il suo pensiero su uno dei temi fondanti del mito e comune alle origini di tutte le grandi religioni, quello del capro espiatorio, tema mutuato dal rito ebraico compiuto nel giorno dell’espiazione (kippūr), quando il sommo sacerdote caricava tutti i peccati del popolo su un capro e poi lo mandava nel deserto, rito descritto oltre che nella Bibbia anche nella Mishnah e nel Talmud. Martin Heidegger, altro grande filosofo del secolo scorso ha detto che ogni vero pensatore pensa un solo pensiero. Nel caso di René Girard questo è quello del “capro espiatorio” sul cui tema il più fulgido e illuminante frutto è il volume del 1982 dal titolo omonimo (Adelphi 2020, pagg. 357), un approfondito studio scientifico con un’analitica attenzione filologica ai testi biblici, evangelici e di varia provenienza letteraria disseminati lungo i secoli, e atti a far luce sulla storia della persecuzione nella cultura umana e nella storia, una sempiterna legge che affonda nel segno della dissimulazione perpetua del mito, della religione e del sacro, quest’ultimo altro punto focale della riflessione dell’intellettuale francese, da ricordare al proposito il suo La violenza e il sacro, la cui opera decrittatoria svela le origini della violenza collettiva con esiti originalissimi. Del resto, il concetto di mimetismo è centrale in tutta la riflessione antropologica, filosofica, teologica e con attinenza alla critica letteraria di Girard. Su quest’ultima fondamentale è la sua opera Menzogna romantica e verità romanzesca (Bompiani 2021). La legge universale del comportamento umano, descritta dai grandi romanzieri, secondo Girard consiste nel carattere mimetico (nel senso di imitativo) del desiderio, ove si instaura una “mediazione”, cioè una relazione imitativa (mimetica) che si stabilisce tra il soggetto e il suo modello. Lo stesso concetto di “capro espiatorio” è molto legato al tema del doppio, tema di per sé molto letterario e al quale infatti la letteratura ha da sempre attinto a piene mani. Un solo esempio in tal senso in quella più recente, rimanendo cioè al secolo scorso, il romanzo di Daphne Du Maurier dal titolo Il Capro espiatorio (qui l’articolo), appunto.
Tutti questi si temi si trovano condensati e articolati in vario modo all’interno di Il Capro espiatorio, vero tema fondante della riflessione di Girard per una cui sommaria biografia e introduzione si rimanda al presente articolo qui uscito che costituisce anche il primo della rubrica C’è del sacro, anche questa curata da Nuccio Puglisi.
L’origine della violenza e della persecuzione
L’analisi del concetto di “capro espiatorio” conduce Girard ad approfondire la cultura giudaico-cristiana, e con una metodologia e analisi di tipo prettamente strutturalista conduce a esiti inaspettati circa la visione dei miti, delle religioni e del sacro, scandagliando l’origine della violenza e della persecuzione nei secoli nelle sue molteplici forme, prima su tutte quella antisemita.
L’inizio è dirompente e narra del massacro degli ebrei avvenuto nel XIV secolo quando durante la peste nera circolavano tutte le possibili accuse stereotipate contro gli ebrei o altri capri espiatori collettivi, i quali venivano additati di portare sciagura, avvelenando i fiumi, causando incendi ed essendo ritenuti responsabili di ogni cataclisma. La verosimiglianza storica degli avvenimenti che testimoniano la pregnanza del “meccanismo persecutorio” perché di questo si tratta, è estrapolata da Girard facendo riferimento al poema in stile cortese di Guillaume de Machaut dal titolo Jugement du Roy de Navarre. In esso, fra invenzione e realtà, convergono le vicende relative allo sterminio degli ebrei e di alcuni cristiani da parte della popolazione a seguito di alcuni eventi soprannaturali: segni dal cielo, fulmini, dei quali essi, gli ebrei e alcuni complici cristiani sono ritenuti responsabili, e che causeranno infatti una distruzione di massa la cui responsabilità verrà fatta ricadere sui suddetti.
I segni, gli “stereotipi”
I segni che permettono di riconoscere il meccanismo persecutorio sono tre ci dice Girard, il quale li definisce “stereotipi”:
Il primo è lo stereotipo della crisi, intesa in senso sociale e culturale “ovvero la descrizione di una indifferenziazione generalizzata”. Di fronte a questa gli uomini però non si interessano alle sue cause originarie. Poiché la crisi è innanzitutto crisi del sociale, esiste una forte tendenza a spiegarla attraverso cause sociali e morali. Gli individui tendono a farsi folla indifferenziata incolpando la società nel suo insieme, portandoli al disimpegno. I crimini più frequentemente invocati sono sempre quelli che trasgrediscono i tabù più rigorosi. Secondo Girard i persecutori finiscono per convincersi che un piccolo numero di individui, persino uno solo, possa rendersi estremamente nocivo all’intera società, malgrado la sua debolezza relativa. La folla per definizione cerca l’azione, ma non può agire sulle cause della crisi, cerca così una causa accessibile per sfogare la sua rabbia e in alcuni casi la violenza. È un dato storico inconfutabile che le grandi crisi sociali hanno da sempre favorito le persecuzioni collettive. Crisi che possono essere descritte metaforicamente, ma sempre in modo da richiamare la fluidità o la contagiosità della crisi mimetica; esempi: pestilenza, diluvio, incendio. Il caso dello sterminio degli ebrei citato da Girard in apertura del volume è esemplare.
Il secondo stereotipo è quello delle accuse stereotipate: non importa che le persone accusate abbiano realmente commesso il crimine, importa la credenza nei loro confronti: ovvero non è necessario stabilire la prova. Girard li definisce “crimini indifferenziatori”.
Il terzo stereotipo è quello che Girard definisce come i “segni della selezione vittimaria” cioè quei tratti arbitrari che hanno attirato l’attenzione della folla polarizzandone la violenza sulla vittima: handicap o particolari fisici, eccessiva bellezza o bruttezza, allargando l’orizzonte l’appartenenza delle vittime a certe categorie di per sé, sulla base del meccanismo persecutorio originario a subirla, come nel caso delle minoranze etniche e religiose e in generale di tutte quelle minoranze che tendono a polarizzare contro di sé le maggioranze.
Un ultimo stereotipo, il quarto e più strettamente fondante circa il tema del capro espiatorio è legato ai tratti della selezione vittimaria ed è quello che riguarda il potere della vittima di ristabilire con il proprio sacrificio l’ordine sociale che permette la vita del gruppo. Il capro espiatorio diventa in questo modo vittima sacrificale, ristabilendo l’ordine violato.
Questi stereotipi sono per Girard alla base dei miti e all’origine di tutte le religioni arcaiche come ben espresso nel suo secondo libro La violenza e il sacro (1972). Il mito affonda nella storia e la nutre, verità storica e mitologica, una speciale contaminazione all’origine del vivente che si è trasmessa fino ai giorni nostri. Dice l’autore:
Per capire l’enormità di questo mistero, non c’è che da indagare su sé stessi. Ciascuno provi a chiedersi quale sia il proprio rapporto interiore con i capri espiatori. Personalmente io non ne conosco e sono sicuro, caro lettore, che per lei sia lo stesso. Noi due abbiamo solo inimicizie legittime. Eppure, il mondo brulica di capri espiatori. L’illusione persecutoria imperversa più che mai, non sempre in maniera così tragica, certo, come all’epoca di Guillaume de Machaut, ma in maniera più subdola.
Del resto, quanti sacrifici rituali, occultati dalla patina della modernità si sono tramandati fino ai giorni nostri? Girard non parla a caso di “illusione” e ci spiegherà perché.
Sacrifici rituali e miti
Girard passa così in rassegna vari miti approfondendone i contenuti, e il sacro, territorio quest’ultimo sconfinato, arcaico, ancestrale e informe. Emblematica è la figura “mitica” di Edipo: il figlio del re di Tebe ha fatto ciò di cui effettivamente lo si accusa ma non lo ha fatto volontariamente, con coscienza. Edipo ha effettivamente ucciso suo padre e fatto l’amore con sua madre, ma credeva di fare tutt’altra cosa. Esemplare è anche ciò che Girard sottolinea circa i medici ebraici che godono di prestigio eccezionale. Il legame sacro-magia, il terrore-sacro che ispira il medico non è una novità, così il capro espiatorio non è solo il ricettacolo passivo di forze malvagie ma diventa un manipolatore onnipotente. La speciale carrellata di Girard prosegue indagando i rapporti intercorrenti tra alcuni miti meno conosciuti quali quelli dei Cureti e dei Titani, addentrandosi inoltre nella mitologia e cosmogonia azteca che arriva a teorizzare che senza vittime non vi sarebbe né il sole né la luna e il mondo sarebbe immerso nelle tenebre e nel caos, fino a scandagliare sulla base delle fonti di Tito Livio la mitologia romana con la nascita “mitica” della città eterna con Romolo e Remo.
Il sacrifico rituale presente nella mitologia e nelle religioni arcaiche è la ripetizione dell’evento vittimario originario. Capro espiatorio e persecuzione sono funzioni del/nel mito e del/nel sacro. Una sacralità equivocata, che diventa persecuzione, impurità anziché purificazione. La nostra impotenza a individuare nei miti una rappresentazione persecutoria deriva anche secondo Girard dalla straordinaria ripugnanza da parte degli intellettuali, a guardare le cosiddette società “etnologiche”, quindi lontane da quella cultura narrante e dominante con la stessa implacabilità che riservano alla loro, una sorta di “mimetismo intellettuale” quindi. Lo stesso episodio evangelico del rinnegamento di Pietro sul quale Girard si sofferma assume un aspetto mimetico, sacrificale e rituale. Stessa dinamica che si instaura con un altro episodio evangelico scandagliato da Girard, quello della decapitazione di Giovanni Battista per volontà di Erodiade.
L’agnello di Dio
È lo studio dei Vangeli che porta Girard a svelare compiutamente il meccanismo persecutorio, mettendolo in crisi e ribaltando lo stesso concetto di capro espiatorio, la vittima che non consente più alla colpa ma diventa l’innocente trasformandosi nell’agnello di Dio. Attingendo dai Salmi e dai Vangeli, Girard ci mostra la forza rivoluzionaria del messaggio del Cristo, un ribaltamento della verità persecutoria, inconscia e mitica. Il celebre passo evangelico “Padre mio, perdonali perché non sanno quello che fanno” (Lc, 23,34) spiega meglio di lunghe dissertazioni l’origine del meccanismo persecutorio e allo stesso tempo dà conto “storicamente” della crisi (primo stereotipo girardiano) all’interno dell’intera società ebraica di due millenni fa, crisi aperta dall’eccessività popolarità di Gesù. I Vangeli non si servono dell’espressione “capro espiatorio” quanto di “agnello di Dio”, la Passione di Gesù Cristo, e quindi il senso più profondo della Rivelazione evangelica ha messo in crisi secondo Girard la nostra società, decomponendo l’ordine sacrificale. Nei Vangeli il capro espiatorio e la morte non sono un feticcio ma una dimensione altra, l’agnello di Dio appunto, vittima di ingiustizia, di un odio senza causa, lo stesso nella “struttura” di cui è stato vittima nella storia il popolo ebraico.
I Vangeli e Dostoevskij
Il testo di René Girard spiega infatti anche le radici dell’antisemitismo e parla con il linguaggio della filologia della forza intrinseca della parola e quindi dell’opera letteraria, del suo mimetismo che nel caso in questione dietro il meccanismo del capro espiatorio ne mostra con il messaggio evangelico la sua vera essenza e “struttura”. Si consideri l’importanza retorica e “mimetica” che hanno nei Vangeli le parabole e in generale tutti i suoi testi, da sottolineare al proposito la potenza retorica di uno dei testi degli evangelisti, quello di Marco, ne parla bene Sandro Veronesi nel suo Non dirlo. Il Vangelo di Marco (ne abbiamo scritto qui). Da notare altresì la costante minaccia del disordine, del persecutorio e della sua capacità di trasformazione, plasticità e adattabilità ai vari consessi storici e sociali. L’episodio evangelico dei Demoni di Gerasa al quale Girard dedica ampio spazio è significativo e non è un caso che uno scrittore, per quanto sia limitativo definire in tal modo uno come Dostoevskij, il quale ha fatto della riflessione filosofica, spirituale e religiosa uno dei temi fondanti della sua opera, abbia titolato uno dei suoi più grandi romanzi I Demoni, pensando proprio all’episodio evangelico suddetto nel quale un indemoniato viene liberato da Gesù. I demoni, perché di una moltitudine si tratta, prendono quindi possesso di un branco di porci i quali, posseduti, mimetizzati fino alle orecchie si gettano da un dirupo. L’unità contro la molteplicità, il disordine demoniaco contro l’unità, quella che si può configurare come la potenza ordinatrice del sociale che può essa stessa dare vita agli esiti più nefasti e mostruosi, la storia ne è piena, e come sempre il diavolo si nasconde nei dettagli ma Girard ci dice, citando un brano dal Vangelo di Marco che “le case crollano l’una sull’altra” ma questo crollo non è un espulsione, al contrario è la fine di ogni espulsione perché è venuta da Dio o da Gesù, in qualche modo rassicurandoci e dicendoci che: “proprio per questo l’avvento del regno di Dio significa distruzione per coloro che non intendono altro che distruzione, e riconciliazione per coloro che cercano di riconciliarsi”.