Ovejero, la figlia ribelle contro il capitalismo disumano

Nel suo ultimo romanzo, “Insurrezione”, José Ovejero non ci risparmia nulla: generazioni che non comunicano, lavoro precario, un sistema neoliberista che tutto e tutti opprime. Una crisi diffusa messa in scena in una famiglia dilaniata, specie dalla fuga di Ana, figlia diciassettenne che si stabilisce in una casa occupata…

Di ragazze ribelli e di lavori precari, di società in crisi e di economie divorate fin dentro il cuore, di violenza, di incomunicabilità fra generazioni, di schiette analisi del capitalismo, o di ciò che ne è rimasto dopo ripetute, innumerevoli degenerazioni. Non vuole consolarci e, dunque, non ci risparmia nulla, a cominciare dalle più crude verità, José Ovejero, una delle voci più limpide della letteratura contemporanea spagnola, fiore all’occhiello del catalogo Voland, che con regolarità ne pubblica le opere, a distanza di qualche anno dall’uscita in patria; anche per questo più recente titolo la traduzione è stata affidata a Bruno Arpaia. Il risultato è Insurrezione, un romanzo che può scuotere dalle fondamenta chi lo legge, lettori scafati o alle prime armi.

I sinonimi che papà non capisce

[…] Agire.
Fare.
Dare.
Distruggere.
Sinonimi, papà, che tu non capisci più
perché tu dici soltanto e non edifichi,
disegni soltanto sull’acqua un futuro
languido e devoto.
Di’ a mamma che non mi dispiace.
Dì a mio fratello che non lo perdono.
Tu non dirmi niente, non ti ascolto, non ti sento,
io non parlo più la tua lingua morta,
non capisco le tue parole da spettro,
perché me ne sono andata lontano
e sono in un altro mondo,
anche se questo non è, lo sai,
un biglietto di suicidio.

Una poesia, un atto di accusa, ma anche un tentativo di scuotere e trovare una sponda in un genitore, frasi di una linea programmatica. Quella di Ana, figlia di Aitor, protagonista di Insurrezione (350 pagine, 19 euro), questo il titolo del romanzo di Jose Ovejero. Ana potrebbe ricordare Merry, la figlia di Seymour Levov, lo svedese di uno dei capolavori di Philip Roth, Pastorale americana. Ha lasciato il nido familiare, comunque compromesso dal divorzio fa i suoi genitori, e si stabilisce in uno dei quartieri più turistici di Madrid, Lavapiés, in una casa occupata, El Agujero. La ragazza cerca il cambiamento, si oppone al sistema di soprusi che dall’alto orienta le vite di quasi ogni essere umano, combatte il capitalismo sfrenato da cui pochi hanno riparo e che molti mette in ginocchio.

Provano a insorgere, finiscono sottomessi

Il padre, il cinquantenne Aitor, la cerca in preda al panico e al dolore, ingaggia Javier, un investigatore privato, per ritrovarla. È un giornalista radiofonico eternamente precario e rassegnato, conduce un programma culturale e cerca di barcamenarsi e restare a galla, senza ribellarsi prova a far quadrare sempre tutti i conti. La sua “mansuetudine”, nessun fuoco che cova sotto la cenere, non è accettata dalla figlia. Eppure chi cerca altre strade e sogna un’alternativa alla cappa che tutto avvolge, sembra non riuscire, non solo la diciassettenne Ana – avvolta in dinamiche che hanno come parole d’ordine resistere, sabotare, ricorrere se necessario alla violenza – ma anche suo fratello maggiore Luis (gay non dichiarato, che vince una borsa di studio negli Usa) e la madre, Isabel, che prova a dar vita a una linea ecosostenibile di borse. Ci provano, ma in fondo si racconta… balle. Tutti ribelli, a modo loro, ma che i riscoprono sconfitti, fragili. Provano a insorgere, finiscono, in modo diverso, sottomessi.

I sogni soffocati da competizione e produttività

Il mondo è complesso e contraddittorio, ma ogni volta Jose Ovejero, classe 1958, si tira su le maniche e prova a osservarne una fetta e a renderla letterariamente. La sua prosa non è particolarmente ricercata, il periodare è secco, ma è inesorabile e implacabile, esatto. Parola dopo parola, frase dopo frase, Ovejero ricostruisce l’universo neoliberista, spesso disumano, che ci circonda, quello in cui i sogni fanno fatica a sbocciare, soffocati dalla competizione, quello in cui più che sugli ideali occorre concentrarsi sulla produttività. È uno schiaffo in faccia che non può lasciarci indifferenti, come tutta la letteratura capace di durare nel tempo.

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