Amicizia e sbronze sono il filo rosso di “Una scimmia in inverno” di Antoine Blondin, leggendario scrittore francese, arguto e bizzarro, legato agli Ussari, che contestavano l’impegno dei letterati, a cominciare da quello di Jean Paul Sartre. La vicenda si svolge in una cittadina della Normandia, dove un uomo, Gabriel Fouquet, divorziato, prova a incontrare la figlia. Ospite di una coppia di albergatori, Albert e Suzanne, stabilirà col primo un’amicizia vera…
Erano tempi di feroci contrasti ideologici, la letteratura non era (ancora) un gioco. In Francia c’era l’ingombrante, e anche mediatamente dominante, figura di Jean Paul Sartre e c’erano anche gli Ussari che si opponevano al suo primato e in generale contestavano l’impegno di chi scriveva libri: outsider, indisciplinati, anticonformisti ma soprattutto monarchici e reazionari, più che anarchici di destra, sfavorevoli all’indipendenza concessa all’Algeria, non tecnicamente un movimento o una corrente, ma un pugno di amici (il trascinatore era Roger Nimier, poi c’erano anche Jacques Laurent e Antoine Blondin, a cui saranno accostati, ma meno organicamente, Michel Déon e il futuro Nobel Patrick Modiano) con poche e chiare idee ferme.
Scrostare il mito a cent’anni dalla nascita
È una fortuna ritrovare in libreria qualcosa di Antoine Blondin, nel centenario della nascita è la casa editrice Settecolori a provare a strapparlo all’oblio, pubblicando Una scimmia in inverno (174 pagine, 20 euro), nella traduzione di Vittorio Viarengo: è il suo libro più noto, sconfitto al premio Goncourt solo da L’ultimo dei giusti di André Schwarz-Bart. In Italia è forse più conosciuto come grandissimo cronista del Tour per il quotidiano sportivo L’Equipe, come penna d’oro della Grand Boucle, e inviato ai Giochi Olimpici. Oltralpe, però, la sua fama è associata anche a un’attività letteraria di assoluto talento, oltre che a una patina di leggenda che lo avvolge. Scrostando il mito, però, si fa in fretta a riconoscere in Antoine Blondin un vero scrittore del ventesimo secolo, raro, un romanziere col gusto dei giochi di parole e dei vocaboli dal significato ambiguo, del lessico ricercato, autore di storie disincantate. Morto non prematuramente, come l’amico Roger Nimier in un incidente, ma andato lentamente alla deriva dopo una vita di eccessi, sbronze, trionfi (anche importanti premi letterari) e cadute, Antoine Blondin merita di trovare un pubblico anche dalle nostre parti.
Confessioni, deliri, speranze
Come ricorda Stenio Solinas nella nota conclusiva a Una scimmia in inverno (titolo spiegato nelle ultimissime pagine), per Blondin “la letteratura e gli amici” erano le uniche cose che contavano. Aggiungeremmo l’alcol. Questo romanzo fa leva sull’amicizia, pubblicato nel 1959, quanto sulle sbronze del protagonista, Gabriel Fouquet, divorziato, finito in un alberghetto in Normandia, gestito da una coppia di anziani: Albert Quentin (passato da alcolista e da soldato coloniale) e la moglie Suzanne. Fouquet si stabilisce in pieno inverno in quell’hotel sulla costa, perché dopo il divorzio da Claire, partita per la Spagna, vorrebbe incontrare la figlia tredicenne Marie, che vive in un collegio da quelle parti. Con cinismo e ironia disperata (non è azzardato pensare che Houellebecq conosca bene le sue opere) Blondin racconta la dipendenza dall’alcol e una fratellanza – di confessioni e deliri, demoni e speranze – che si stabilisce fra i disadattati e marginali Albert (caramelle all’anice mangiate di notte per tenere lontana la bottiglia) e Gabriel, che potrebbero essere padre e figlio e al cinema furono interpretati da Jean Gabin e Jean-Paul Belmondo.
Gioventù e solidarietà
“Se mi manca qualcosa, non è il vino, ma l’ebbrezza. Cerca di capirmi: degli ubriachi voi non conoscete che i malati, quelli che vomitano, i bruti o quelli che cercano ad ogni costo la rissa; ma ci sono anche i principi in incognito che si indovinano anche se non si riesce a identificarli. Sono simili all’assassino del famoso delitto perfetto, di cui si parla solo quando è fallito. Costoro non li si sospetta nemmeno; sono capaci dei più bei complimenti o delle più turpi ingiurie, sono circondati da tenebre e da lampi; sono funamboli persuasi di avanzare sul filo, provocando le grida di ammirazione o di terrore che possono sostenerli o precipitarli, mentre l’hanno già lasciato”.
Stile sfaccettato, arguto e bizzarro, linguaggio ricco e impressionistico, Blondin è uno scrittore di altri tempi che può lasciare il segno anche in questi, col suo umorismo malinconico e i suoi eccessi alcolici. La storia è cucita attorno ad alcuni punti fermi, la solidarietà, i bei ricordi del passato, e in particolare della giovinezza (per entrambi i protagonisti relativi a paesi stranieri, Spagna e Cina), anche se a un certo punto Gabriel Fouquet invoca altro: “Vorrei essere vecchio”.
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