Romanzo psicologico e metanarrativo, “Breath” di Roberto Pecoraro si interroga sul futuro della scrittura e sul senso della letteratura, rifiutando le derive commerciali del presente a uso e consumo del mercato. Un espediente narrativo che lo scrittore agrigentino padroneggia con abilità
Breath, respiro, respirare. “Sono uscito da quelle stanze e sto bene. Osservo il mondo, provo a viverlo. Senza attese, senza progetti. Agisco. Respiro. Vivo” (pag.128). “Scrivere serve? Che senso ha scrivere della vita? C’è la vita per questo. Ho sbagliato. Scrivevo. Ora preferisco vivere. Scrivo gli attimi che ci sono adesso” (pag.132). Sono queste alcune frasi che si leggono nelle ultime pagine del romanzo Breath (136 pagine, 12 euro) di Roberto Pecoraro, pubblicato da Algra, in cui il narratore in posizione omodiegetica esplica il suo rifiuto della letteratura commerciale, prodotta esclusivamente a “uso e consumo del mercato… Che senso ha produrre storie come se fossero elementi da bancone?” (pag.123). E tale denuncia è accompagnata dall’interruzione, infatti il lettore quando è già profondamente immerso nella storia e nelle vicende dei vari personaggi della narrazione , questa s’interrompe e il narratore da eterodiegetico quale era nel proporre eventi, pensieri, modi di essere e di agire dei protagonisti, quali Giovanni e Giacomo,Davide ed Elisabetta, etc…., comincia a partire dal cap. 36, un lungo discorso in cui narra se stesso, indaga nella sua psiche, nei suoi pensieri, insomma nella sua essenza interiore e s’interroga anche e soprattutto sul senso e sul valore della scrittura.
Da narratore a lettore
“Ho iniziato a scrivere questo lavoro improvvisandomi quel romanziere che non sarò mai… Saranno, forse, queste parole a seppellire definitivamente il male che mi affligge?” (pag.101), “Le mie parole sono niente. Come me. Come te che leggi” (pag.129) continua a dire il narratore rivolgendosi al lettore, eppure deve ammettere alla fine che scriverà ”come se non dovesse finire mai. Come respiro. Il respiro è sicuro”. Dunque il lettore non può non desumere che la scrittura è vita, è respiro, esistenza vera, quale quella che si vive, immergendosi nelle vie del mondo, opzione alla fine scelta dal narratore-protagonista perché sulla strada “ogni cosa” gli “parla”. Né mancano in itinere nella prima parte del romanzo altri interventi del narratore (capitoli 5,16, 26, 30) che poi, nella seconda parte, come si è già rilevato, assume il ruolo di protagonista indagatore di se stesso, della sua confusa ed eterogenea modalità di essere.