… e ci riesci molto bene. Non un semplice epigono, però, perché con “Zia Dot”, oltre a raccontare una storia on the road di amicizia, fra motel e canyon, Riccardo D’Aquila dimostra abilità, tra una scrittura agile e una caratterizzazione, quella della protagonista (lesbica, tagliente, conflittuale), esemplare…
Tutto è iniziato con la pubblicazione di un racconto nel 2019 su ‘tina, storica rivista letteraria di Matteo B. Bianchi. Il personaggio principale ha subito colto nel segno e dal racconto breve è partita la corsa al romanzo. Protagonista Riccardo D’Aquila, alla sua prima pubblicazione, con Fandango, che ha mandato in libreria il suo Zia Dot (269 pagine, 18 euro). Uno zampino per trovare rapidamente un gran bell’editore l’ha messo anche la Piccola Agenzia Letteraria, fondata da Melissa Panarello un paio di anni fa. Abruzzese doc, Riccardo D’Aquila sembra però un narratore nordamericano, complici le ambientazioni (le zone deserte degli States, in particolare l’Arizona) e lo stile, fitto di dialoghi, oltre alla scelta di affidare a un duo improbabile il dipanarsi di una classica vicenda on the road.
Un pick-up verso l’Arizona
Cinica e tagliente, ricca di Bel Air ma tutt’altro che borghese, naturalmente portata al conflitto, Dorothy Roth ritrova dopo qualche lustro un vecchio amico e confidente, Marvin, che era andato via per reprimere un sentimento a suon di chilometri, riappare e le chiede di aiutarlo a sistemare una faccenda spinosa e le sue conseguenze, senza specificare altri particolari. Dorothy, detta Dot, che ha da poco perso la madre (pessimo il rapporto il loro, l’anziana passata a miglior vita non aveva accettato tante cose della figliola, a cominciare dal fatto che Dot è lesbica), si mette in gioco, mette a disposizione un pick-up e parte con l’ex compagno di college, destinazione Arizona. Tra pericoli assortiti e cibo spazzatura ingurgitato qua e là, fra nuove confidenze ed errori, fra improbabili motel e canyon, si assiste a un’amicizia che si ricoagula attorno a ferite del passato, Riccardo D’Aquila mette i due personaggi nelle condizioni di dispensare grosse dosi di empatia nei confronti di chi legge. E ha il merito di portare via il lettore con una scrittura agile e mai pretenziosa.
Ritrovarsi, anche con uno sguardo
Il viaggio che prende corpo pagina dopo pagina non serve solo a tirar fuori dai guai Marvin, ma anche a ritrovare se stessi, lui e lei, tra cui non c’era bisogno di parole, in passato (quando si chiamavano Dolly e Lenny), e che nel presente ritrovano l’intesa, anche solo con uno sguardo. Vuol far l’americano il trentenne Riccardo D’Aquila e ci riesce piuttosto bene, facendo un po’ il verso a narratori d’Oltreoceano e di successo, oltre che ad alcuni dei film migliori delle nostre vite. Non siamo però in presenza di uno sterile epigono. E la caratterizzazione perfetta di zia Dot lo dimostra in pieno. È ancora prestissimo per parlare di Riccardo D’Aquila come di un autore statunitense, come dire che Tabucchi era uno scrittore anche portoghese, ma i suoi primi passi di romanziere lo fanno sperare…
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