In “Una vita senza fard” Maryse Condé carezza il cuore del lettore con mano ruvida e callosa per le asprezze della vita, ci conduce, senza pudore compassionevole, nei cunicoli oscuri della sua esistenza e ci racconta come si sopravvive quando nessun dolore viene risparmiato. Una lettura che fa riflettere sulle troppe donne che non hanno concreta occasione di autoaffermazione
“Nessuno poteva intuire quanto fossi infelice, al punto da desiderare spesso di morire…in ragione del carattere bestiale, addirittura degradante delle sofferenze che vi avevo sopportato, la penna rifiutò di obbedirmi e produsse una versione edulcorata dell’accaduto”. Non volevo scriverla questa recensione, perché avevo paura di non riuscire a rendere giustizia al coraggio di Maryse Condé, che in Una vita senza fard (269 pagine, 19 euro), edito da La Tartaruga, si racconta senza sconti, senza maschere, senza quel velo di pudore compassionevole che spesso rende la vita tollerabile. Non potrò renderle mai giustizia, tributo di riconoscenza certamente, perché il dono della sofferenza, senza compiacimento e senza desiderio alcuno di vendetta, è qualcosa che va onorato.
Vitam inpendere vero
Questa espressione di Giovenale, molto amata da Rousseau al punto da essere incisa sulla sua tomba, racchiude il senso più profondo del libro. Passare la vita nella ricerca incessante della verità, equivale alla scelta di una donna di mostrasi al mondo senza fard, come evocato dal titolo, ovvero senza orpelli, sovrastrutture e finzioni (neppure pietose, laddove il lettore avrebbe forse preferito non arrivare). La Condé, attraverso uno stile essenziale ma impeccabile, ci impedisce di girare lo sguardo da un’altra parte, vuole condurci dentro i meandri più profondi della sua vita travagliata, perché è consapevole di avere una missione nei confronti di chi avrà la grande fortuna di leggerla, ma anche un debito verso se stessa. Noi donne, tutte indistintamente, da Medea a Madre Teresa di Calcutta, vorremmo essere sempre più e altro da ciò che siamo, e questo ci proietta verso l’alto ma, a volte, le nostre ali sono di cera, e avvicinandoci troppo al sole come Icaro finiamo schiantate a terra, spesso senza neanche un Dedalo affranto a piangere sulla nostra sorte.
Tra Socrate e Platone
Chissà quali saranno state le parole pronunciate realmente da Socrate mentre si trovava nell’agorà ateniese intento ad usare il logos come nessun altro ma con Santippe alle calcagna (povera donna, su cui pesano millenari pregiudizi)…
In fondo è poi così importante se la trasposizione che opera Platone del pensiero socratico sia fedele fin nei minimi particolari? Qualunque narrazione, compresa quella della propria vita, e nel nostro caso le vicende biografiche dell’autrice, è inevitabilmente un po’ infedele, spesso inconsapevolmente, non tanto nella rievocazione dei fatti, quanto piuttosto nel tentativo (di per sé impossibile) dell’oggettivazione di se stessi.
Una patina di allure romanzesco non altera per nulla l’essenza profonda di Una vita senza fard, che è esistenza che straborda in ogni riga del libro, che fatica a contenere tale magma di emozioni, sogni infranti, speranze disattese, ferite sanguinanti, ma anche fiducia inspiegabile nel domani e ardente desiderio di vivere, che riesce a fare sempre capolino come un tulipano solitario in un campo arso dal sole bruciante della cattiveria umana.
Maryse Condè abbraccia il suo destino e vuole raccontarci come si sopravvive quando nessun dolore viene risparmiato, persino il più atroce ed ingiusto che un essere umano possa mai provare. Ci conduce con mano ferma ma gentile, di quella gentilezza forgiata dal fuoco del dolore, nei cunicoli oscuri della sua esistenza, ma tutto questo non è senza scopo, vuole regalarci una speranza oltre ogni speranza.
Le parole dell’autrice sono una carezza al cuore del lettore, fatta da una mano resa ruvida e callosa dalle asprezze della vita, e per questo ancora più dolce quando si posa su di noi, arrabbiati per le ingiustizie che circondano la vita di ognuno ma commossi dalla capacità che l’animo umano conserva di proteggere l’Amore anche di fronte ai fendenti implacabili del male.
È tutto un equilibrio sopra la follia
C’è un passaggio, fra queste pagine intrise di malinconia e indomita resistenza ai colpi bassi del destino, che mi ha commosso in maniera particolare. La Condé dipinge in maniera struggente l’ansia e il senso di inadeguatezza che viene offerto in dotazione alle madri fin dal primo istante in cui apprendiamo che, da quel momento in poi, non saremo più sole, perché qualunque cosa possa accadere quel cordone ombelicale nessuno e niente riuscirà mai a reciderlo.
Qualunque donna potrà riconoscersi in quell’amore viscerale che fa muovere le montagne e che riempie il cuore del desiderio di regalare ai propri figli il mondo intero, servito a colazione fra latte e biscotti. Maryse Condé descrive con dovizia di particolari lo strisciante senso di colpa che accompagna, in maniera più o meno conscia, le madri la cui anima rimane divisa a metà fra il profumo inebriante che i neonati possiedono a vagonate e la voglia fortissima, e a volte anche la necessità, di continuare a lavorare.
Se avessi dovuto scegliere non avrei esitato neanche un secondo, avrei scelto il mio amore più grande, ma leggere Una vita senza fard mi ha fatto riflettere lungamente sul fatto che ancora troppe donne, nonostante si sbandieri di uguaglianza col megafono, in realtà non hanno una concreta occasione di autoaffermazione. Poco mi frega dei nomi declinati al maschile o al femminile, ciò che auspico davvero è un mondo in cui le donne possano uscire senza la scorta, senza la paura di un uomo che le creda di sua esclusiva proprietà e dove nessuno chieda loro di firmare fogli in bianco prima di venire assunte, dove nessuna bambina venga obbligata a sposarsi… fino ad allora, cara Condé, le lacrime di ogni donna sono le mie.
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