Brevi ma profonde riflessioni su contemplazione e, soprattutto, scrittura ne “Un cigolio d’altalena” di Christian Bobin. Un volume composto di lettere, un pretesto per leggere brevi capitoli e frasi poetiche, oltre gli schemi, al riparo dagli stereotipi. Le sue parole celebrano il silenzio, sono melodie che sanno fare a meno della musica. Ci scaraventano su profondità che non ricordavamo di conoscere, speranze nude da respirare
I libri di Christian Bobin – facilità di lettura, lingua morbida e asciutta, raffinatezza artigianale mai esibita – conducono i lettori su un dolce declivio erboso, in cui tutto è pace, tutto è alla giusta distanza, tutto è misura, ma una misura rivoluzionaria. Accade anche con la sua più recente uscita italiana, pubblicata dalle edizioni Sanpino (raffinata realtà piemontese) come primo titolo di una collana esemplare, perfetta per ospitare l’autore francese: i kairoí, occasioni e istanti di rivelazioni, opportunità da cogliere per abbeverare l’anima. Un cigolio d’altalena (111 pagine, 13 euro), tradotto da Emanuele Borsotti, conferma la cifra distintiva di Bobin, in Francia autore di culto, con una sessantina di titoli all’attivo e in Italia nome per una congrega di fedelissimi che, citandolo, nei suoi libri cercano frasi per farne la propria casa.
Oltre gli schemi
L’intensa semplicità del suo modo di intendere la letteratura si dispiega anche in questo ennesimo libretto prezioso. Lettere a qualcuno, verrebbe da dire, piuttosto che a… nessuno. Le esplosive riflessioni sullo scrivere (e non solo) di Moresco sono agli antipodi rispetto alle osservazioni di Bobin. Ci mette poco a inquadrare la scrittura (“la mia vita più bella”) da un punto di vista altro, al riparo dalle opinioni comuni, da consuetudini cementificate, oltre gli schemi…
Colui che attende alla fine del binario di carta bianca e non sale su nessun treno, solo nella notte stellata: ecco, è quello lì che scrive.
Oppure:
La vita scrive a matita. La morte passa la gomma. La poesia ricorda. Nessuno ha una memoria migliore di una poesia.
O ancora:
La scrittura deve venire a cercarci dove siamo, farci uscire dalle tombe delle nostre vite, far ritornare nelle vostre vene il sangue dell’amore color antico.
O infine:
Scrivere: battere due cembali di silenzio l’uno contro l’altro
Sostanza e stile, modello e altalene
In queste lettere di Bobin – gesto antichissimo al tempo dei social e delle chat telefoniche – oltre che sostanza, c’è stile, programmaticamente. L’appartato autore francese, che scrive sempre libri fuori da generi definiti, lo spiega a chiare lettere, non solo in questo volume, dove si può leggere, fra l’altro:
Non credo a quel che mi viene detto. Credo al modo in cui mi viene detto.
Il modello dichiarato è un altro scrittore isolato, il monaco giapponese Ryokan, maestro del diciannovesimo secolo (discepolo ispirato da Dogen, fondatore della scuola buddhista giapponese Zen Soto), fratello spirituale di Bobin. Che scriva una lettera immaginaria a una poetessa, la Cvetaeva o a una sconosciuta, alla madre, a qualcuno degli animali che popolano il bosco in cui vive, a una ciotola o alla sua stessa anima, Bobin trova sempre parole che in qualche modo celebrano il silenzio, melodie che sanno fare a meno della musica. Azzerano rumori, paturnie, ansie, invitano alla contemplazione, vanno al nocciolo di ciò che è davvero importante, profondità che non ricordavamo di conoscere, speranze nude da respirare. Altalene da spingere o su cui farsi cullare.
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