Un ponte verso un universo parallelo, un lavoro dedicato alla moglie prematuramente scomparsa è il libro di racconti “Fra le tue dita gelate” dello scrittore messicano Francisco Tario. Short stories in cui la vita si ripresenta sotto forme diverse, in cui c’è fame di vita nonostante la percezione della morte, e si va oltre la morte, percependo contatti con dimensioni altre…
I racconti del messicano Francisco Tario ci trasportano in un’altra epoca. Pensiero banale, forse, ma l’intento di questo autore messicano, riscoperto da Safarà07, che pubblica Fra le tue dita gelate (232 pagine, 18 euro), tradotto da Raul Schenardi, è di lasciare che le sue parole creino un ponte, un attraversamento che conduca chiunque, in una qualsiasi epoca dell’oggi, in una dimensione sconosciuta.
Un dialogo mancato e uno che continua
Tario parla con un’energia capace di creare spaccature nel presente, da quelle stesse feritoie possiamo spiare tutto ciò che accade in un universo parallelo, lo stesso che ci circonda. Questi racconti sono stati scritti e dedicati alla moglie prematuramente scomparsa e la percezione è che le sue storie siano al tempo stesso un dialogo mancato e un dialogo che continua da quella brusca interruzione; la sensazione è che Tario abbia cercato, attraverso la scrittura, per tutta la durata delle sue storie brevi di cercare un contatto.
Così la percezione della morte, che c’è in questi racconti li abita, come abita la vita di ognuno in attesa di sconvolgerla, è filtrata da una fame di vita, dal respiro che vuole sottrarre vita dove apparentemente ce n’è in abbondanza, dalla necessità di generare vita. In Verso la fine di settembre, questa energia vitale è sia nei sentimenti che agitano, “tutti pensavano all’amore a quell’ora”; sia nell’insorgere delle ombre “di quali infiniti piaceri è piena la vita e a quali smisurati dispiaceri è esposto il cuore dell’uomo”. Non c’è da confondersi, nei racconti di Tario la morte ha un ruolo preciso e non è quello di creare un’atmosfera tetra o inquietante, a farlo saranno i personaggi capaci di muoversi nell’oscurità e di creare, sui muri, ombre e confusione.
La ciclicità della vita
L’autore messicano affida alla ciclicità della vita l’enigma di alcuni suoi racconti, come l’incontro tra un uomo e una donna, che avviene sul finire dell’estate e che anticipa già una fine, ad annunciarlo è “quel vento”, in quell’incontro con lei, “il mio unico amore dell’estate”, la vita irrompe portando desideri e nuove speranze. Anche quando la fine ci sottrae ciò che più ci è caro, una rara sensibilità riesce a vedere attraverso, oltre. Per questo Tario, in un dialogo continuo con la moglie scomparsa, ci parla di come la vita stessa si ripresenti sotto forme diverse. Ecco quindi che alla morte, si affianca un certo tema della rinascita e questo passaggio avviene tra l’incomprensibile, l’inspiegabile e forse l’occulto. Questo tipo di incontro non può avvenire se non tra mura domestiche, quelle in cui gli amori si sono consumati e poi bruscamente interrotti.
La casa respira, mangia, sogna
La casa è il luogo in cui sembra poter avvenire ogni sorta di evento; è il luogo che assiste all’amore, alla generazione di vita, custodisce i dolori e la fine dei suoi abitanti. La casa è qualcosa di vivo, in Assassinio in do diesis minore la casa “trattiene il fiato” e appare “oltremodo adatta per ogni sorta di avvenimenti, ma c’è un’infinità di cose simili dove non accade mai qualcosa di strepitoso e a cui nessuno fa caso fino a quando un bel giorno, qualcuno la mattina si ritrova sgozzato nel letto, o impiccato a un albero o affogato nelle verdi acque dello stagno”.
Ho immaginato Tario, rimasto solo, nella sua grande casa, sentire ancora i passi della donna scendere le scale, immaginarla seduta sulla poltrona guardare oltre la finestra aperta, ho immaginato il suo forte desiderio di averla ancora accanto a sé e rendersi conto che, forse, lei non se n’è mai andata ed è per questo che, seduto al tavolo, con la penna in mano, ha squarciato il tempo usando la sua scrittura. In quel lembo di tempo sospeso, durante il quale ha liberato il pensiero, ha cercato un contatto in una dimensione che non è la nostra. Così la casa è diventata un corpo che respira, mangia, genera vita e soprattutto sogna.
Nessun luogo migliore della scrittura
In Lo uistitì, la vita è generata da un rubinetto dal quale esce una creatura minuscola e misteriosa capace di portare fertilità ai corpi, quasi si trattasse di un amuleto o porta fortuna. In Un ineffabile rumore è un grillo salterino ad insediarsi nel timpano di un uomo che temerariamente vede mutare il suo corpo, torturato da un rumore sinistro. Ma se queste creature possono appartenere ad un universo permeato da sensazioni surreali e allucinatorie, è quella la dimensione che Tario vuole raggiungere. Non c’è luogo migliore per farlo della scrittura, nessun luogo più adatto della casa che cela, dietro muri più alti degli altri, i suoi abitanti dalle curiosità altrui, permeata da una pioggia che cade “senza sosta” “a ogni ora del giorno e della notte”, lasciando intendere, nella sua ciclicità, andare e tornare della vita, l’uomo che va e torna, in balia dei suoi sentimenti. Come avviene in “L’uomo del cane giallo”, in cui quest’uomo “si incamminava verso la spiaggia e lo si poteva vedere, anche d’inverno, percorrere distanze inverosimili, sotto la pioggia e con il suo cane […] E così molti continuavano a chiedersi perché quell’uomo non aspettasse un’altra stagione che fretta avesse e perché il muro della sua tenuta fosse più alto degli altri”. Ed è lì, allora, che con l’animo tormentato l’uomo, trasfigurato dalle emozioni, alla continua ricerca di un segno, riesce a intravedere ciò che la mente umana rifiuta, un’ombra che si lascia intuire “dalla scalinata come una lieve apparizione che scompare”.
Le presenze
Le presenze, così care all’autore, sono segni che la casa contiene e trattiene, avvicinano l’uomo ad un mondo sconosciuto, lo iniziano ad un linguaggio misterioso, come avviene in L’esodo: “le case erano altrettanto affascinanti ed erano curiosamente accatastate, con stretti portici dove all’improvviso compariva qualcuno vestito rigorosamente a lutto. Quando era sera, la luce, dentro quelle case era tenue e gialla e impregnava l’ambiente di una tristezza tale da permettere di coltivare le più vive speranze. Fu proprio lì che avremmo stabilito il primo contatto”. E qual è la dimensione che più di tutte le altre può facilitare questo “primo contatto”? La dimensione del sogno, tra le mura domestiche, sembra diventare il realismo più vero per entrare in contatto con se stessi, sì, ma anche con l’altro: chiudere gli occhi e crollare in un sonno profondo. In Il balcone, sempre lì, sul finire dell’estate, in cui molti fanno coincidere il vero inizio dell’anno, lasciandosi alle spalle ciò che è stato, una donna interroga l’uomo: “Dimmi, hai sognato qualcosa?”, rivelando, come la condizione del sogno, sia il luogo auspicato in cui realtà e immaginazione si mescolano senza sosta. In L’uomo del cane giallo, l’uomo è “assalito da sogni straordinari che lo portavano da una parte all’altra in modo inconsulto, follemente, come un uccello privo di ali alla mercé del vento” e “si meravigliava di questi sogni, che non somigliavano a quelli che faceva lei e le parlavano di un mondo misterioso, che non era fatto per noi, dove ogni cosa sarebbe stata diversa”. Che cosa sia veramente in grado di generare un corpo, lo dice Tario, nei suoi racconti, è l’illusione, che è poi una proiezione dei desideri: dalla morte, si genera un’indomabile voglia di vita, le stanze in penombra si aprono su balconi proiettati di slancio sulla pianura e al loro interno, l’essere umano in preda ad un pensiero convulso non sa più, se sta sognando oppure vivendo, oppure entrambi, ma non gli importa ciò che conta è vivere quel frangente, vivere “come un sogno” e ripetersi come un mantra “sto sognando […] sto semplicemente sognando”, per dare alla propria realtà i connotati dell’incredulità, tanto l’esperienza della vita, racchiusa nella scrittura, risulta straordinaria.