Pensieri, vuoti, orizzonti, costellazioni di desideri. Ecco cosa sono le pianure, luoghi fisici e mentali che i protagonisti degli omonimi romanzi, “Le pianure” di Gerald Murnane e Federico Falco, raggiungono. Storie accomunate dalla scoperta dell’invisibile. Murnane accenna ad una rivelazione, il sogno della presunzione di realtà. Quello di Falco non è un sogno, è un’illusione, presa di coscienza di un cambiamento inevitabile
La pianura è un concetto, un pensiero che si forma, è una costellazione di desideri. La pianura è un vuoto che solo il coraggio ardito dei pionieri possono pensare di riempire. La pianura è un orizzonte, l’unico che non ha un punto più alto da cui guardare gli altri, che non ha un punto più basso da cui osservare le intenzioni elevarsi. La pianura si raggiunge. Accade per Federico Falco, il suo protagonista, terminata una turbolenta storia d’amore, lascia Buenos Aires, per trasferirsi in campagna con l’intenzione di affittare una casa, coltivare un orto e capire ciò che è accaduto. Accade a Gerald Murnane, il suo protagonista lascia Melbourne, con l’intento di trovare ispirazione e finanziamenti per un film che sappia rappresentare un luogo mai visto, ma attraversato da molti. La pianura è un luogo, fisico e mentale; entrambi gli autori sentono di interpretare una pianura personale. Da un lato, la pianura è il luogo in cui i sentimenti feriti devono ritrovare un tempo, “nelle pianure il tempo è ingannevole”, un ritmo, in cui fare pace con le cose accadute, con i suoi dolori, “mi ripeto continuamente che c’è un tempo per ogni cosa. Un tempo per la semina. Un tempo per il raccolto. Un tempo per la pioviggine. Un tempo per la siccità. Un tempo per imparare ad aspettare che passi il tempo”, scrive Falco. Dall’altro, la pianura è il luogo in cui cercare una chiave di lettura, risposte su se stesso, “vent’anni or sono, quando vidi le pianure per la prima volta, lo feci con gli occhi bene aperti. Cercavo, in quel paesaggio qualcosa che sembrasse accennare ad un significato complesso, oltre le apparenze”, scrive Murnane.
La pampa argentina
Così nelle pianure australiane si cela una visione di se stessi, è in un piano sequenza che accenna ad una verità nascosta, alla possibilità di intraprendere un determinato viaggio che obbliga alla mutazione, “sospetto che ogni uomo forse, stia viaggiando verso il cuore di una qualche sua lontana e personale pianura”.
Questo viaggio, compiuto oggi, non potrebbe mai iniziare senza attraversare il paesaggio spoglio che videro i primi che raggiunsero questi punti di una mappa sconosciuta, ancor più se si intende per mappa ogni tragitto percorso da uno stato d’animo e per questo mai identico a quello attraversato dagli altri: “Le pianure erano tanto immense che nessuno dei loro abitanti era mai sorpreso di sentire che comprendevano una regione che non aveva mai visto”. Per Federico Falco, il racconto della pampa argentina passa per quel “primo Juan” partito dalla provincia piemontese, ai piedi delle montagne, che scopre un luogo in cui mettere radici, lasciare un paese in guerra, per dare una speranza alla famiglia che verrà: “Questo è il nostro mito delle origini. […] Il paesaggio, dal finestrino, era completamente diverso da quello che il primo Juan aveva conosciuto fino ad allora: qui predominavano la pianura, le grandi distanze, la solitudine, un orizzonte lontano e continuo. […] Niente tra un paese e l’altro, solo prateria sgombra, vuota, disponibile. Non c’erano nemmeno recinzioni: la pampa non ancora suddivisa, non ripartita”.
L’Australia onirica
Il passato è visto come un’epoca di sentimenti forti, temerari, in cui esercitare l’arte “dell’orizzonte”, in cui un’assenza di limiti lascia intravedere l’ombra dei confini in cui si chiude l’essere umano, in Australia come in Argentina. La ragione per cui la pianura è il vuoto che spaventa, “la paura dell’orizzonte, la paura del vuoto, del non senso, della vita sempre uguale”, è ciò che illude l’uomo di poterlo riempire ed è per questo che Murnane contrappone alla visione di Falco, una pianura rivestita di una visione onirica. La pianura che può diventare il soggetto unico e originario di un film, è investita di un significato recondito, quel luogo non esiste e se esistesse, sarebbe solo nella mente del protagonista, perchè quei luoghi solo lui può riconoscerli come tali: “stavo alla finestra, tenendo contro il vetro la riproduzione di un quadro dipinto dalla ragazza negli ultimi anni della sua infanzia […] A volte ritagliavo un pezzetto di carta da un’altra immagine, perché una vista lontana delle vere pianure potesse comparire in un punto significativo del quadro”. E’ una pianura che si esprime con un proprio linguaggio, è disposta a rivelarsi a pochi, gli occhi del regista possono trovare quella sfumatura, tanto da risultare un paesaggio “del tutto illusorio”. Mentre la pianura di Falco oppone una concretezza spietata. La pianura per lui è terra che sporca le mani, che ti mette alla prova, che cerca di scardinare le regole del tempo. L’ossessione per la coltivazione diventa il tempo per l’oblio in cui il linguaggio della scrittura, da sempre conosciuto, diventa sconosciuto, inservibile, “non sarei capace. Si è rotto qualcosa. Non capisco più niente. Non mi viene da scrivere”. Ha bisogno di plasmare e manipolare la terra, per toccare il proprio dolore, per diventare altro. La sua è una creazione, che deve partire dalla terra, la stessa toccata dal “primo Juan”, la stessa in cui rigenerarsi. Ed è qui che avviene l’incontro tra queste due visioni della pianura. Dietro a ciascun racconto, c’è la scoperta dell’invisibile. Murnane accenna continuamente ad una rivelazione che porta il lettore a pensare ad un’alterazione della dimensione da cui la voce narrante proviene: è il sogno la presunzione di realtà. Il continuo rimestare della terra, aspettando che la tempesta passi, parla di un brutto sogno, di un’alterazione, di una rivelazione che anche per Falco dovrà arrivare. Il suo non è un sogno, è un’illusione, è una presa di coscienza di un cambiamento inevitabile, “devo lasciare che il paesaggio mi riempia e mi insegni. Devo imparare a guardare e non cercare di impormi”.
Ripartire dall’oscurità
Se il libro di Murnane cerca di mostrare all’occhio nudo degli altri una vera pianura che si estende davanti al corpo ed è capace di contenere tutto, allora la dimensione di cui ci parla è sempre più vicina a quella di Federico Falco, perché in quella pianura ci sono esattamente “ricordi, visioni e sogni”, gli stessi di cui parla Murnane: sovrapposizioni di tempi e spazi, un luogo in cui non esistono giorni e ore. Il racconto di Falco è tutto questo, la sua storia, la sua fine, l’effetto placebo delle stagioni, il dolore delle notti e il freddo dentro al quale tutto tende a perdere ritmo, “una vita che cerca di rimettersi in piedi nella pianura e il vento che di continuo la abbatte”. Ci sono i suoi sogni, quelli notturni e spaventosi, quelli fatti ad occhi aperti sotto un sole drammatico e da cui deve necessariamente prendere le distanze. La visione duale di questi autori, riparte dall’oscurità dentro la quale le emozioni e gli oggetti perdono la propria dimensione. L’oscurità invade e cancella anche l’infinito delle pianure e quando Murnane dice che questa terra sprofonda nella sua personale “vecchia oscurità”, ci parla del suo sogno? Un’oscurità che contagia il pensiero di Falco e ne allevia la consistenza, nell’oscurità le cose non esistono più, “il buio diventa trasparente”, il pensiero si purifica, alleggerisce e non leggendo più i contorni, la trasparenza mette in evidenza aspetti più meschini. Il paesaggio diviene uno specchio che riflette le angosce dell’uomo per questo non si può smettere di sentire il paesaggio anche mentre si dorme, per questo la realtà sbatte in faccia le sue piaghe, si sente una gran solitudine nel paesaggio e per questo sente che la campagna tortura. E allora dopo il tormento, la pianura acquista il potenziale di fantasia, la pianura diventa la terra promessa, quella in cui mettere le radici lontane dalla guerra, la stessa terra in cui Falco affonda le mani e si chiede quando tutto potrà ricominciare; è una terra promessa, perché promette di riempire i vuoti ed esaudire i desideri. “Da qualche parte, esiste una pianura che potrebbe essere rappresentata da un’immagine semplice? Quali parole, quale macchina da presa potrebbe mostrare le pianure dentro altre pianure di cui ho sentito parlare così spesso in queste settimane?”, la terra promessa di Murnane è qui, dietro ad un’allucinazione sistematica, sorprendente di cui sono fatti i suoi viaggi nelle pianure, c’è un lungo viaggio dentro se stesso. Anche se scritti in epoche diverse (1982 per Murnane, pubblicato da Safarà, e 2020 per Falco, edito da Sur), anche se i viaggiatori “su paesaggi sconfinati”, lasciano impronte in luoghi distanti tra loro, lo spirito dei protagonisti, perduti nella tempesta, lascia presagire come nella pianura ci sia sempre spazio per ritrovarsi “nella grande marea della luce”.