È una scoperta stupenda “Sindrome da panico nella Città dei Lumi”, romanzo del romeno Matei Vișniec colmo di personaggi eccentrici e mai banali, a cominciare da uno autobiografico, uno scrittore in fuga dal regime di Ceaucescu. Ma il protagonista è un misterioso ed eccentrico editore che non crede più alla letteratura fin tanto che…
Un tesoro ben nascosto. Cercatelo. Non fermatevi alle vetrine delle librerie, o davanti le pile di bestseller tutti uguali, scovate questo libro, una speciale distopia letteraria, negli angoli più nascosti, magari in quella sola copia che tiene la vostra libreria di riferimento. Un’altra distopia? Non se ne può più! Un libro sui libri? Diffidarne? Forse, come sostiene il protagonista di Prendete mia suocera (Bompiani), romanzo di Howard Jacobson, “Quando uno scrittore scrive di scrittura, è nei pasticci”. Eppure superate ogni dubbio. Fidatevi. Con il romeno Matei Vișniec, sessantaseienne fuggito dalla Romania di Ceaucescu, da decenni naturalizzato francese, scoprirete uno scrittore (molto noto come drammaturgo) della stessa pasta di suoi due connazionali, i già canonizzati Radu Sergiu Ruba e Mircea Cartarescu. Di bravura indiscutibile, di spessore, di talento puro, al servizio della letteratura.
Hemingway è morto?
A oltre dieci anni dalla pubblicazione in patria, Voland scommette su Sindrome da panico nella Città dei Lumi (328 pagine, 17 euro) di Matei Vișniec, grazie alla traduzione di Mauro Barindi. Pagina dopo pagina l’autore costruisce, mirabilmente, un altare a Parigi, al processo creativo che c’è alla base di ogni opera, al mondo delle lettere e a quello editoriale, senza tralasciare qualche sprazzo di autobiografia, vera o verosimile, e armonizzando vari punti di vista. La capitale francese che si legge in queste pagine non è quella magica o romantica di tanta cinematografia, non è per nulla idealizzata: tra le sue vie semideserte si smarrisce uno scrittore, non il solo protagonista, anzi quasi sovrastato dal signor Cambreleng, editore misterioso, sopra le righe e senza casa editrice, che è convinto dell’esaurirsi della letteratura ma comunque si circonda – luogo di riferimento il caffè Saint-Medard – di autori a caccia di storie da raccontare e in qualche modo li istruisce.
Quando osai ricordare al signor Cambreleng che Hemingway era morto nel 1961, lui mi disse con immensa delusione nella voce:
– Come che Hemingway è morto? Non dica corbellerie… A Parigi non muore nessuno, mai.
Poiché il signor Cambreleng non poteva mai essere convinto del contrario delle cose in cui credeva, lo seguii quindi, più volte, in varie passeggiate sulle tracce di Hemingway, di Sartre, di Beckett.
Un autore ventosa
A far cambiare in qualche modo idea all’editore è un romanzo che sintetizza Parigi in modo mirabolante: è in vari quaderni di Jaroslava, che glieli sottopone; lei non ha fatto altro che raccogliere testi dai menu dei bistrot, da etichette, da annunci pubblicitari. Il tono bislacco si intreccia a personaggi eccentrici e mai banali, a riflessioni sui libri, sull’eros, sulla patria (sul destino di esule che accomuna Vișniec ad altri grandi letterati della Romania). Lì – tra sprazzi surreali e ironici, paradossali e assurdi, a cominciare da un capitolo scritto dal punto di vista di una gobba – in qualche modo tutto torna, si riparte dalle origini, dove torna a fare capolino l’editore, il signor Cambreleng, e dove c’è il “capolinea” dell’autore del libro, che compare in più di un cameo.
– Conosco, conosco il suo nome… Lei è quell’autore di origine romena che sta scrivendo un libro su tutti noi, infatti è a causa sua se sto perdendo la memoria, lei è una ventosa, lei è un autore ventosa, ha risucchiato dai suoi personaggi tutta la memoria, li ha inariditi, ci ha infilato pure se stesso come personaggio, ha sconvolto ogni confine tra la finzione e la realtà e alla fine del libro molto probabilmente si suiciderà… Conosco il suo nome, lo so, ma non credo lei si meriti che io le accordi tanta importanza…
Accordategliela voi…
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