Perché leggere “Dove qualcosa manca” di Francesca Zanette? Per ricordarsi che gli uomini non si devono guardare attraverso il mirino di un’arma, ma con gli occhi del cuore. Due piani temporali, gli ultimi mesi di guerra nel 1944 e il 1958, una piccola comunità veneta, verità dolorose e ferite ancora aperte
“Il racconto scivolava come un fiore sul torrente, ora giù, rapido, intenso, altre volte rallentava fino a incagliarsi in certe parole; un sospiro per trovare il coraggio e via!” Il racconto di Caterina al marito Pietro, alla fine del romanzo, procede così, come il racconto di Dove qualcosa manca di Francesca Zanette (Readerforblind, 234 pagine, 17 euro), come un fiore su un torrente, che non riesci a smettere di guardare finchè lo sguardo può, e ti parla della strada che ha percorso prima che tu lo vedessi, di quella che farà oltre il tuo sguardo.
Un tedesco in paese
1958, un paese veneto nel quale la solida tradizione contadina con la sua mentalità patriarcale, il suo legame alla terra ed ai suoi ritmi, comincia ad essere scossa dalle prime ventate di modernità, dall’arrivo degli elettrodomestici, delle creme pronte Cirio. La bottega di Caterina e Pietro è un luogo perfetto per osservare la piccola comunità, vi passano tutti, si incrociano storie, pettegolezzi, contrasti politici, sotto gli occhi dei proprietari, una coppia serena e solida.
Il romanzo di Francesca Zanette, infatti, si apre con la descrizione del negozio, e dice che “Si stava bene lì dentro, come a casa”, e “L’orologio perdeva le ore lì dentro. E a volte, tra i vasetti e la frutta, pareva possibile dimenticare la realtà”. Ma la realtà sa venire incontro agli uomini, in mille modi, e stavolta si incarna in Matthias, il tedesco che entra al negozio con la sua Leica al collo. Oggetto simbolo del personaggio, che avrà la funzione di puntare l’obiettivo su scorci del paese, della sua storia, molto a lungo nascosti, farli emergere dalla camera oscura della memoria personale e collettiva, trasformarli in Storia.
Precisione e coerenza
La presenza di Matthias irrompe nel paese, il passato irrompe nel romanzo, che si snoda tra due piani temporali, il 1944, ultimi mesi della seconda guerra che chiamiamo mondiale, ma le cui trincee erano scavate anche dentro i piccoli paesi, nelle strade di campagne, dentro le famiglie. La lotta partigiana nelle montagne venete, l’occupazione militare delle campagne, la guerra con la sua crudeltà che non fa distinzione, senza buoni e cattivi facili da distinguere, gli anni del boom economico, il romanzo di Francesca Zanette riesce a restituire il clima di quegli anni, con gli strumenti del vero romanzo storico, cioè rispecchiando la storia degli umili nei grandi processi epocali. La cura di alcuni particolari porta nella pagina una precisione da inquadratura cinematografica, nel dettaglio di un vestito, nella confenzione di un prodotto sugli scaffali, ed il racconto si veste di una coerenza che supera i fatti, coinvolge le scene, l’abbigliamento, la lingua.
Conti aperti e dolore che torna
Con un passo veloce ma mai frettoloso il lettore è guidato alla scoperta di verità dolorose, le ferite della guerra sono ancora vive, dopo 14 anni torna il dolore della violenza esercitata e subita, i conti non chiusi che provocano ancora sangue, ancora lacrime. Le storie d’amore si intrecciano alle storie di morte, e tutte sono immerse nella violenza di un momento storico che si spera, si crede, irripetibile. È, ancora una volta, una questione privata, la grande lezione di Fenoglio che echeggia in queste belle pagine di Dove qualcosa manca.
Non una, ma cento questioni private, in realtà, perché il romanzo di Francesca Zanette intreccia le storie di molti personaggi, e ciascuno riesce ad avere un carattere ed un ruolo, da don Fulvio, straordinario prete del paese, che guarda e conosce i cuori, senza pregiudizi, a Carlo e Matthias, prigioniero e carceriere, partigiano e tedesco, che si innamorano oltre ogni convenzione, ai genitori di Carlo e Caterina, così lontani dai turbamenti e dalla complessità del presente, immagini di un mondo antico, ma altrettanto vero.
“Insomma, ci vogliamo bene, che male c’è Santiddio?”, dice Emma, quando confessa alla sorella Caterina di aspettare un bambino da Marcus. “C’è che è un tedesco, maledizione”. Ed è qui tutta l’assurdità della guerra. Che questo romanzo mostra. E perciò occorre leggerlo. Ancora e ancora, per ricordarsi che gli uomini non si devono guardare attraverso il mirino di un’arma, ma con gli occhi del cuore.
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