Con stile sincopato che riproduce il ritmo del racconto orale, in “Alabama” Alessandro Barbero ci catapulta nella guerra di secessione americana. Vista con gli occhi di un vecchio reduce sudista, tra razzismo e misoginia, a cui fa da contraltare una studentessa. Un romanzo con un sorprendente afflato religioso…
Amuri, biddizzi e dinari sunnu tri cosi ca nun si ponnu ammucciari. La saggezza popolare, spesso snobbata nella nostra epoca dominata dal “tuttologismo” svolazzante dell’universo di internet, reca invece in sé profonde radici di verità, quindi, vostro onore… dichiaro immediatamente il mio amore e la mia devozione totali per Alessandro Barbero, che con Alabama (262 pagine 15 euro), edito da Sellerio, è riuscito soltanto ad accrescere questa innocente passione, che si innesta su un amore ancor più viscerale, quello per la Storia, la disciplina più bistrattata dal sistema scolastico italiano. Dovrebbe essere regina e si ritrova ad essere serva, nel suo significato meno nobile. Ognuno è la sua storia, anche quando ciò implica una ricapitolazione dolorosa, e ogni popolo incarna ciò che i secoli hanno stratificato nel suo DNA collettivo. Sarà che Barbero mi ricorda quando da piccola, immersa con ingordigia nei libri di storia (e non solo), riuscivo a staccarmi da tutto ciò che mi circondava e viaggiavo fra i secoli con tutta l’avida curiosità che è propria dei bambini. Non aspettatevi quindi da me imparzialità…io sarò autentica nel mio scrivere, che è altra cosa.
Il tempo della coscienza, la coscienza del tempo
Henri-Louis Bergson, massimo esponente dello Spiritualismo francese oltre che premio Nobel per la letteratura nel 1927, ha avuto il grande merito di aver liberato lo scorrere del tempo dalle catene della sua quantificazione matematicamente inoppugnabile, rendendo magistralmente la sua “durata reale” attraverso l’immagine del flusso di coscienza, un fluire ininterrotto, senza soluzione di continuità, dove le emozioni, i sentimenti, ciò che accade dentro e fuori di noi, si interseca e si abbraccia stabilendo connessioni temporali che non hanno nulla a che vedere con le misurazioni (ovviamente indispensabili) dei nostri orologi.
La percezione del tempo in Alabama è un elemento centrale, seppur nascosto fra le righe concitate del racconto. È palpabile la sensazione di trovarsi in un loop temporale davanti alle parole del protagonista del libro, cristallizzato nella sua divisa di reduce sudista della guerra di secessione americana, che masticando tabacco ci trasporta in un’epoca in cui la parola negri (che oggi risulta giustamente oltremodo disturbante) segnava una distanza incolmabile fra i sommersi e i salvati. Gli attori che si muovono sulla scena di questa pagina di storia raramente sono sfiorati dal dubbio sulla legittimità delle loro pretese, e anzi spesso si stupiscono di chi non comprenda le loro posizioni. Bisogna riconoscere a Barbero che, se non conoscessimo il suo background culturale e le sue posizioni in ambito socio-politico (mai nascoste, anzi rese orgogliosamente evidenti), potremmo essere sfiorati dal dubbio di una sua immedesimazione con le convinzioni di Dick Stanton, tale è la sua bravura nel farci entrare appieno nella coscienza, indolente e polverosa ma lucida, del protagonista del romanzo.
Funge da contraltare allo scorrere lento ma puntuale dei ricordi di Stanton la brama vorace di cavalcare l’onda della vita della studentessa, che raccoglie, a volte rapita altre quasi irritata, le parole del protagonista.
Si viaggia su binari temporali paralleli, mai destinati ad incontrarsi, ma che magicamente si completano a vicenda, regalandoci un’immersione totale e totalizzante in un universo lontano dai nostri orizzonti umani, culturali, sociali, ma che riesce comunque ad ipnotizzarci.
Non è la rosa, non è il tulipano… ma sono mille papaveri rossi
Lo stile narrativo sapientemente utilizzato da Alessandro Barbero è fortemente sincopato, riproduce il ritmo spontaneo e spezzettato del racconto orale. A tratti si fatica a reggere questa estrema frammentazione, ma è uno sforzo che viene ripagato ampiamente dalla totale immedesimazione che si viene a creare con il protagonista del libro. Il lessico scabro e asciutto rende inoltre perfettamente il terrore che attanaglia i soldati all’approssimarsi di una nuova battaglia. Un linguaggio crudo colpisce come una folata di vento gelido, ma è funzionale alla resa di un’atmosfera intrisa di razzismo e crudele misoginia.
Quegli eserciti schierati su rive opposte, appaiono oggi ancor più drammaticamente vicini alla nostra realtà, quei ragazzi si mostrano in tutta la loro essenza vulnerabile ai colpi del nemico.
Ognuno di loro diventa quasi un figlio, che abbiamo dovuto lasciar partire per affrontare da solo l’implacabilità di un conflitto che non troverà mai ragioni sufficienti da giustificare i sogni infranti di intere generazioni.
Dei morti in battaglia ti porti la voce, chi diede la vita ebbe in cambio una croce…
Ama e fai quel che vuoi
La cifra davvero sorprendente di Alabama è la presenza di un potente afflato religioso, che si incarna soprattutto nella figura del reverendo Whiterspoon, che accarezza l’anima di coloro che gli stanno di fronte, senza mai giudicarli, che sostiene generosamente i deboli, i derelitti, gli sconfitti dalla guerra e dalla vita. Nell’anima di quei soldati alberga una profonda ed autentica inquietudine, la stessa del pubblicano consapevole di essere un incallito peccatore e che proprio per questo si affida completamente alla Misericordia di Dio.
Nella figura del reverendo prende corpo un Cristo stanco e incerto, ma che ha il grande merito di saper attendere con amorevole pazienza che ciascuna di quelle anime prostrate e sofferenti arrivi alla Verità con il proprio passo, che spesso è zoppicante e malfermo, ma che riconosce la mano di Dio in chi non smette di amare quell’imperfetta meraviglia che è l’uomo.
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