Premi Nobel laureati e mancati, classici di ogni tempo e luogo, ma anche contemporanei… sorprendenti. In occasione della Giornata mondiale del libro e del diritto d’autore, le firme di LuciaLibri si sono divertite a pescare titoli che ritengono imprescindibili, che non possono mancare dalle proprie librerie e che sognano di trovare in quelle altrui. Il risultato è, come in altre occasioni, un catalogo di ottimi suggerimenti di lettura
“Un bellissimo novembre” di Ercole Patti (Bompiani)
Ci sono mondi che non vorrebbero morire, immoti al tramonto autunnale. E se la vita vi si svolge lo fa senza speranza, dentro rapporti esausti o immorali. La corsa fatale di Nino nel castagneto è la fine sacrificale di famiglie inani, devote alla dissipazione. (Luca Alerci, qui tutti i suoi articoli)
“Sotto il vulcano” di Malcom Lowry (Feltrinelli)
“Patrimonio” di Philip Roth (Einaudi)
Un libro che non riesco a immaginare fuori dalle case di chi ama leggere. Se ci sono figli che hanno dubbi sull’amore dei (e per i) propri padri, dopo aver letto questo racconto lungo di un maturo Philip Roth comprenderanno tutto: “Non era un padre qualunque, era il padre, con tutto ciò che c’è da odiare in un padre e tutto ciò che c’è da amare”. (Arturo Bollino, qui tutti i suoi articoli)
“Vita e Destino” di Vasilij Grossman (Adelphi)
In questi tempi difficili, Vita e Destino è monito di umanità e resistenza, è un libro indispensabile. (Anna Caputo, qui tutti i suoi articoli)
“Il fu Mattia Pascal” di Luigi Pirandello
È stato un regalo, facevo le medie: Il fu Mattia Pascal, Luigi Pirandello, è il romanzo che mi ha dato il benvenuta nel mondo dei classici, e che mi ha rapita con la sua storia di fantasie reali, con la sua vicenda pazzesca eppure verosimile. Ogni tanto lo rileggo, non potrei fare a meno di tenerlo in libreria e riaprirlo di tanto in tanto! (Alessandra Chiappori, qui tutti i suoi articoli)
“Canne al vento” di Grazia Deledda
Ma al pari di questo titolo, il suo più noto, ce ne sono almeno un’altra decina della scrittrice sarda, premio Nobel, che è un eufemismo definire imprescindibili. Deledda riunisce in sé i pregi di Verga e D’Annunzio, senza avere i loro difetti. Fate un po’ voi… (Giosuè Colomba, qui tutti i suoi articoli)
“Finzioni” di Jorge Luis Borges (Einaudi)
Il libro della vita? Finzioni di Jorge Luis Borges. Non c’è nulla da perorare e tantomeno da dimostrare. Non è un libro, è un assioma, un principio certo per immediata evidenza.
Augh. (Stefano Di Lauro, qui tutti i suoi articoli)
“I pesci non esistono” di Lulu Miller (add)
Un po’ diario, un po’ memoir, un po’ saggio filosofico. Ad un certo punto anche un po’ giallo. I pesci non esistono di Lulu Miller è tutto questo, e altro ancora. Un libro che pagina dopo pagina affonda nel nostro intimo, fino a pizzicare le corde più nascoste dell’anima. Un libro che non vi lascerà indifferenti, che vi commuoverà. (Giovanni Di Marco, qui tutti i suoi articoli)
“Olive Kitteridge” di Elizabeth Strout (Fazi)
Toglietemi tutto ma non toglietemi Olive Kitteridge di Elizabeth Strout. Del tutto priva di retorica e fronzoli, Olive, insegnante di matematica in pensione, guarda nelle vite degli altri, di tutti quelli che pensiamo di conoscere e che poi, sotto le fragili facciate messe in piedi per tirare avanti in un mondo che non fa sconti, si rivelano essere tutt’altro.
Uno dei personaggi più riusciti della letteratura contemporanea attraverso cui la Strout ci obbliga a guardare a noi stessi. (Sara Galletti Manfroni)
“Si sta facendo sempre più tardi” di Antonio Tabucchi (Feltrinelli)
Un testo per me irrinunciabile, che non mi stanco mai di rileggere e che tutti dovremmo avere nelle nostre librerie perché contiene un monito importante, che suona come un avvertimento: “il tempo non aspetta” e dobbiamo essere “presenti a noi stessi” per vivere in sincronia con il tempo che ci è stato dato, riconoscendo i nostri sentimenti. Con lo stile epistolare in cui Tabucchi eccelle, l’autore ci regala lettere magnifiche e impossibili, orfane di destinatari femminili ormai irraggiungibili, monologhi composti da voci tardive e discroniche, pieni di rimpianti e di rimorsi, che tessono la trama di un tempo che non può più tornare. (Silvia Gasparoni, qui tutti i suoi articoli)
“Sostiene Pereira” di Antonio Tabucchi (Feltrinelli)
Toglietemi tutto ma non Sostiene Pereira perché Lisbona “quel pomeriggio letteralmente scintillava”, per un “azzurro mai visto” e per un “nitore che quasi feriva gli occhi”. Per Lisbona che respira ad ogni riga di quel romanzo e la storia che passa da un paese di periferia e da un inserto culturale di un piccolo giornale. (Antonio Giordano, qui tutti i suoi articoli)
“L’alchimista” di Paulo Coelho (La nave di Teseo)
È quel libro che ho portato dalla Sicilia a Milano, che ho perso e che ho riacquistato in una domenica di maggio in una bancarella dell’usato perché mi ricorda che spesso ci affanniamo, alla ricerca di un tesoro o di una felicità promessa e da inseguire. Fatichiamo tanto ma dimentichiamo che il vero tesoro lo abbiamo accanto a noi e – semplicemente – non ce ne accorgiamo. Si può essere felici ogni giorno, con piccole schegge di stelle che sotterriamo per noncuranza o semplice dimenticanza. (Grazia La Paglia, qui tutti i suoi articoli)
“La simmetria dei desideri” di Eshkol Nevo (Neri Pozza)
Il romanzo dell’amicizia: “… noi tutti sentiamo di appartenere a qualcosa solo quando siamo insieme. Altre volte c’incontriamo e mi sembra che non abbiamo niente a che fare uno con l’altro, mi sembra che niente abbia senso. Ma forse le cose stanno sempre così, questa danza di avvicinamenti e allontanamenti è proprio il cuore del movimento fra amici”. O forse no, forse il romanzo dell’amore: “Gli amici vano e vengono, sono le donne che restano”. O forse no, forse il romanzo dell’odio: “… e io ho tirato su col naso spiegando che ci sono cose diverse che tengono unita una coppia. A volte è proprio la capacità di colpire dove fa più male”. (Giovanni Leti, qui tutti i suoi articoli)
“L’isola di Arturo” di Elsa Morante (Einaudi)
Diventare grandi. Dopo la perdita dell’innocenza e degli affetti più cari, attraverso la gelosia e l’amore non corrisposto. Facendo i conti con i desideri e l’orgoglio. Dopo la scoperta del sesso e il crollo delle illusioni. Incontro alla guerra, alla morte, se necessario. (Salvatore Lo Iacono, qui tutti i suoi articoli)
“Pierrot amico mio” di Raymond Queneau (Einaudi)
Il libro da cui non potrei separarmi è Pierrot amico mio di Raymond Queneau. In questa scelta c’è ben poco di oggettivo, non starò a elencare motivi per cui si debba assolutamente leggere, ammesso che esista un libro che possa vantare tale ambizione. Secondo me, Queneau in questo romanzo raggiunge il perfetto equilibrio tra ironia e malinconia, tra gioco e introspezione. (Paola Lorenzini, qui tutti i suoi articoli)
“Hotel Padreterno” di Roberto Pazzi (La nave di Teseo)
Hotel Padreterno è l’ultimo romanzo di Roberto Pazzi ed è per me un’opera che non potrebbe mai mancare dalla mia libreria poiché lo scrittore con forza visionaria propone una tematica metafisico-terrena in cui il Patreterno, umanizzatosi, vive la nostra condizione piena d’inquietudini, incertezze, decadenza, eppure vagheggiante l’immortalità. Attraverso questo processo di progressiva simbiosi, alla fine la forza motrice dell’Amore e del Bene troverà esplicazione. (Francesca Luzzio, qui tutti i suoi articoli)
“Le metamorfosi” di Ovidio
Il flusso incessante di trasformazioni: divinità, uomini, piante, animali, cambiano, e si scambiano, stato, forma, specie. Il più grande giacimento di storie della letteratura occidentale, le Metamorfosi di Ovidio: Narciso, Euridice, Apollo, Dafne, e l’Amore, motore inesauribile di ogni cambiamento. (Mauro Mangano, qui tutti i suoi articoli)
“Dialoghi con Leucò” di Cesare Pavese
Se esiste una scrittura laica davvero irrinunciabile, capace di racchiudere tutto ciò che bisogna sapere sull’essere umano – i sogni e i desideri, la fragilità, l’anelito che lo spinge verso l’assoluto e la forza che lo trattiene ancorato alla terra – deve essere i Dialoghi con Leucò, il testamento ultimo di Cesare Pavese. (Rebecca Molea, qui tutti i suoi articoli)
“Pastorale americana” di Philip Roth (Einaudi)
La vox populi celebra il nuoto, tra le discipline sportive, come quella “completa”. Con uno slancio di fantasia forzo la locuzione e provo ad applicarla al mondo delle lettere. Tra gli scrittori chi sarà mai l’equivalente del nuoto? Semplice: Philip Roth. Va da sé che se dovessi partire per un naufragio con al seguito un solo romanzo a tenermi compagnia, quel libro sarebbe Pastorale Americana, pubblicato in Italia da Einaudi, tradotto da Vincenzo Mantovani.
Un protagonista – lo Svedese – che si insedierà indelebilmente nel vostro cuore. Un contesto storico di spessore elevatissimo. Ma anche le sfumature socio-antropologiche della storia hanno il loro bel peso. La trama avvincente come solo le epopee personali sanno esserlo. Insomma: la perfezione. Un testo che in libreria fa il suo figurone. Credetemi sulla parola: un must have che riempirà al meglio il vostro tempo. (Antonietta Molvetti, qui tutti i suoi articoli)
“Anna” di Niccolò Ammaniti (Einaudi)
Una Sicilia rovente, una misteriosa malattia, un viaggio, una speranza che tiene in vita, una giovanissima magnetica protagonista. Una storia crudele, dolorosa, avvincente, indimenticabile. (Lucia Porracciolo, qui tutti i suoi articoli)
“Centootto volte più grande del sole” di Nuccio Puglisi (Carthago)
“Vivere per qualcosa”, senza farsi travolgere da un destino che potrebbe apparire già segnato, e avendo cura di non sprecare neanche una goccia di Kairos, di tempo prezioso, perché la vita è un inscindibile e insondabile intreccio di Eros e Thanatos, in cui tutto si permea di senso quando l’uomo riesce a “spingersi oltre la terra e toccare il cielo”. (Laura Randazzo, qui tutti i suoi articoli)
“Il diritto di opporsi” di Bryan Stevenson (Fazi)
Il mio “mai più senza” è il Diritto di opporsi” di B. Stevenson.
Quando decisi di iscrivermi alla Facoltà di Giurisprudenza, la mia idea di giustizia era pressoché falsata dal mio profondo ottimismo e dall’assurda convinzione che questo mondo sia per i giusti e gli onesti. Col tempo, questa forma romanzata di giustizia ha lasciato il posto alla realtà, grazie anche a libri come questo. Bryan Stevenson racconta la sua attività di avvocato americano a favore dei condannati alla pena di morte, dei minori condannati alla pena capitale o all’ergastolo, degli afroamericani vittime di ingiustizie incredibili e indicibili, di razzismo. Descrive un sistema giudiziario che fa paura, riuscendo a fare la differenza nel Sud degli Stati Uniti con il suo coraggio di lottare per garantire giustizia per tutti. Se non smetto di credere ad una giustizia “giusta” è per uomini come lui che hanno capito che la pietà è tale solo quando si prova verso chi non la merita.
Quanti innocenti sono stati giustiziati pur essendo innocenti? Quanti minori hanno trascorso la vita in carcere senza poter sperare di conquistare un giorno la libertà? È atroce solo provare a rispondere.
Questo è uno dei libri più toccanti e potenti mai scritti sulla pena di morte. Fa indignare, fa riflettere, fa sperare. (Arcangela Saverino, qui tutti i suoi articoli)
“Vicino al cuore selvaggio” di Clarice Lispector (Adelphi)
“Ogni ansia è ricerca di piacere. Ogni rimorso, pietà, bontà, è il suo timore. Ogni disperazione e ogni ricerca d’altri cammini sono l’insoddisfazione”. In questa frase mi specchio, mi riconosco, mi discosto; la frase di un libro che non mollo mai e che, spesso, regalo, per vederlo anche in altre case. (Micol Treves, qui tutti i suoi articoli)
“Mille gru” di Yasunari Kawabata
Se partissi per un lungo viaggio o decidessi di far perdere le mie tracce, un modo per ritrovarmi sarebbe quello di osservare il titolo del romanzo che una ragazza sta leggendo al tavolino di un bar. Se il libro in questione è Mille gru di Yasunari Kawabata, avrete fatto centro.
Perché per me è un libro imprescindibile? Perché Kawabata segna, con i suoi romanzi, quel confine profondo che separa il Giappone dell’epoca imperiale da quello che si costruì dopo la fine della Seconda Guerra mondiale. Il suo sguardo è rivolto al passato. Mille gru fu pubblicato a puntate tra il 1949 e il 1952, trovai una vecchia edizione Mondadori in una bancarella dell’usato a Torino. Come spesso accade nei suoi romanzi, il Giappone raccontato da Kawabata è spesso coperto da una coltre di neve, sullo sfondo il monte Fuji, i vicoli della città sono un susseguirsi di case e di locali nei quali si trovano le maiko e le geishe, le luci sono soffuse e spesso al centro troviamo uomini che seducono e donne che vivono sulla loro pelle gli intrighi famigliari. Kawabata fu uno dei promotori della “scuola delle nuove sensazioni”, il senso simbolico della bellezza popola i suoi libri; ed è quello che più di tutto accade al lettore: percepisce lo scandire del tempo, un’atmosfera ovattata e densa di quiete alla quale si contrappongono i sentimenti umani carichi di drammi personali. È in quella crepa che tutto accade.
Nel 2022 ricorrono i cinquant’anni dalla morte di Yasunari Kawabata, premio Nobel per la letteratura nel 1968, mi sembrava questa una buona occasione per tornare a parlarne. (Paola Zoppi, qui tutti i suoi articoli)
È possibile ordinare questi e altri libri presso Dadabio, qui i contatti