Nicola Calathopoulos, popolare giornalista televisivo, ha scritto di un enigma letterario da sciogliere, senza cadaveri e senza sangue, “Dannati per sempre”. “Mi piace – spiega – cercare di capire gli altri. Scrivendo mi ero riproposto di far riflettere senza… ammorbare. Il mio romanzo è un fiero epigono dell’Eleganza del Riccio…”
Una lunga carriera giornalistica di successo e poi un esordio letterario che destato interesse e curiosità. Nicola Calathopoulos, da sette anni vicedirettore di NewsMediaset, si è cimentato nella scrittura di un romanzo, Dannati per sempre (372 pagine, 18 euro), pubblicato da Minerva edizioni. Non esattamente un giallo. Visto che l’investigatore di turno, in realtà un critico letterario, non è caccia di un delitto o di un colpevole, ma l’identità di uno scrittore misterioso.
1)
Nicola, non è facile classificare Dannati per sempre: tu come definiresti il tuo romanzo?
“Scrivendolo, non pensavo a quale genere letterario appartenesse. Una volta finito mi sono accorto che per l’editoria italiana è invece importante classificare, schedare, attribuire. Non appartiene a un genere definito, era l’obiezione che mi veniva fatta. Io non credo che nel 2022 si debba ancora essere schiavi delle vecchie abitudini: una storia è bella o brutta, ben raccontata o scritta con i piedi, chi se ne frega a che genere appartiene. Se devo proprio sforzarmi di trovargli una casa, direi che Dannati per sempre è un giallo letterario. Il meccanismo narrativo è quello di un giallo, ma manca il cadavere e l’indagine, la ricerca del colpevole, si svolge tra libri, università, case editrici e giornali. Chi è l‘autore misterioso che si nasconde dietro uno pseudonimo? Perché ha deciso di sparire dal mondo nonostante il suo romanzo abbia riscosso un successo planetario? Scoprirlo diventerà lo scopo dell’esistenza di uno dei protagonisti”.
2)
Un romanzo che col pretesto di raccontare una storia avvincente, si prefigge però anche l’obiettivo di scandagliare l’animo umano, tra ironia e ossessione…
“Mi piace cercare di capire gli altri, è una specie di curiosità giornalistica che non mi ha mai abbandonato. I personaggi di un romanzo devono creare empatia e più sono profondi, sfaccettati, vari, più hai la sensazione di conoscerli. A quel punto ti trovi a tifare per l’uno o per l’altro. Ognuno di noi ha i suoi vizi, le sue virtù, le sue ossessioni, le sue manie, non ammetterlo significa mentire. Io ho cercato di andare a fondo tra quelle dei miei protagonisti. Ne sono emersi tipi piuttosto particolari: a quel punto ho deciso di trasformare le loro manie e ossessioni in tic quasi caricaturali. L’ironia è diventata la cifra naturale attraverso la quale portare avanti il racconto. Dopo una giornata di lavoro, il lettore deve poter trovare in un romanzo ristoro, curiosità, divertimento ma anche riflessione. La scommessa di Dannati per sempre è proprio questa: cercare di far riflettere senza ammorbare. Si può scrivere tutto in punta di penna.
3)
Uno dei personaggi principali del tuo romanzo si è rifugiato in una torre, circondato da libri: quanto ti appartiene questa immagine d’altri tempi?
“Mi appartiene tantissimo. Sto rispondendo a queste domande da una casa di campagna in un paese con undici residenti. Sento solo il canto degli uccellini, ogni tanto il grufolare di un cinghiale, la forza del vento quando la notte s’arrabbia. Adoro questo posto, adoro la solitudine, invidio Gonzalo Carbonell, il personaggio a cui facevi riferimento, perché vive in un’antica torre restaurata e dal suo giardino, protetto da una folta vegetazione affinché nessuno possa spiarlo dall’esterno, vede il Lobregatt che scorre lento e in lontananza scorge, confusa nell’infinito, Barcellona. Qui scrive, legge, lavora ai suoi corsi universitari, non incontra praticamente nessuno se non il suo fido attendente e qualche vero amico. Legge, scrive, guarda, pensa: come si può non invidiarlo? Cosa c’è di meglio da fare su questa terra?”
4)
Bukowski diceva “ho sempre fatto ottima compagnia a me stesso”. A lui bastavano una macchina da scrivere e un bicchiere di buon vino. Ma oggi, nell’epoca dei social, essere asociali o misantropi può essere una via di fuga, di salvezza, un modo per sopravvivere?
“Eccome se lo è! Frequento, poco, i social per lavoro e perché hanno una funzione utile quando si tratta d’informare e far conoscere. Purtroppo, come gran parte delle cose in mano all’uomo, hanno conosciuto un degrado e una deriva che non può non portarti a detestarli. Sono diventati la scena per la rappresentazione dell’ignoranza, della volgarità, della cattiveria, lo sfogo della frustrazione, l’esercizio del pressapochismo, l’arena per i pusillanimi violenti ma senza conoscenza. I social nascono Pop e stanno morendo Trash. Di fronte a questo spettacolo obbrobrioso, considerato che non puoi partecipare se non vuoi scendere al loro infimo livello, non ti resta che salutare il mondo e allontanarti. La misantropia, se non è patologica, è una scelta di civiltà e di assoluta libertà”.
5)
I dannati per sempre sono necessariamente degli sconfitti?
“I Dannati, quelli con d maiuscola, sono proprio quelli che aborrono questo mondo fanatico e ignorante, in cui il volume è tenuto sempre troppo alto e il kitsch viene spacciato per originalità. Vivono, per questo, una perenne situazione di disagio, quasi una dannazione in terra: vorrebbero un mondo diverso, meno volgare, ignorante, brutto, vorrebbero poterne ammirare le bellezze e sentire il battito pulsante senza doversi imbattere in omuncoli senza prospettive, banali e rozzi. Constata l’impossibilità, escogitano la loro risposta “filosofica” per uscire da questo inferno: lo abbandonano al suo destino. Ecco perché non sono degli sconfitti. Sono in qualche modo riusciti ad affrancarsi grazie a una scelta e quando scegli non sei mai uno sconfitto”.
6)
Volendo suggerirci un percorso di lettura, quali sono stati gli autori o i romanzi che ti hanno ispirato nella stesura di Dannati per sempre?
“Leggo veramente di tutto, uno scrittore deve leggere di tutto, magari non apprezzare tutto, ma sapere come scrive Ken Follet, anche se poi non ti piacerà, è un dovere professionale. Detto questo, adoro i romanzi sofisticati, tipo L’eleganza del riccio di Barbery di cui Dannati per sempre si pone come fiero epigono, I baffi di Carrere, Il nome della Rosa di Eco o l’ultimo, celebre Cambiare l’acqua ai fiori di Perrin. Sono un amante del noir, gialli, polizieschi e spy story e qui l’elenco è infinito: Simenon e Christie, Grisham, Connely, Nesbo, Chandler, Ellroy, Carlotto, Carrisi, De Giovanni, Le Carre, Fleming, Harris, Turow, Penny. Al di là dei generi, un capitolo a parte merita Philip Roth, ma è banale dirlo e un altro autore che non nomino perché gioca un ruolo fondamentale in Dannati per sempre e non voglio dire niente che possa aiutare a svelare il mistero. Ho adorato lo stile di Oriana Fallaci (Un uomo capolavoro assoluto), meravigliosa sintesi di giornalismo e narrativa, come del resto i libri di Terzani e Saviano. Mi piacciono Piperno, Magris, Ammaniti come da ragazzo ho amato Pavese, Calvino, Moravia ma anche Salgari (Le tigri di Mompracen, il primo romanzo che ho letto a sette anni) ed Hemingway, Leopardi e Ungaretti. E troppi altri.
7)
Hai ricevuto molti consensi dopo questa tua prima fatica, stai già lavorando a un secondo romanzo?
“Di più: avevo già pronta una prima stesura. Avevo, perché adesso è come non fosse mai esistita. Non mi piace, devo compiere l’infanticidio perfetto e buttarla a mare. Mantenendo solo una parte dell’idea originale (quella è buona, mi piace). Il fatto è che è stato proprio il gradimento di Dannati per sempre a farmi riflettere. Questo secondo lavoro non aveva la stessa impronta di Dannati, era più tragico e tetro. C’era qualcosa che non riuscivo a capire che non mi soddisfaceva. Ora lo so. È già tantissimo. Adesso dovrò lottare con le poche ore a disposizione per lavorarci (ma quando arriva l’età della pensione?) e mi rimetterò a scriverlo. Ognuno di noi è quello che è e deve battersi ogni giorno per affermarlo. Sempre con il sorriso sulle labbra, naturalmente”.