Tra i finalisti del premio Strega Europeo 2022 c’è “Punto di fuga” dello scrittore russo dissidente Mikhail Shishkin: romanzo epistolare tra uno scrittore impegnato in un conflitto lontano e la sua giovane innamorata rimasta in una remota provincia russa. Gran bel pretesto per scavare nei cuori e nei sogni degli uomini, nell’insensatezza della guerra, nello scorrere inesorabile del tempo
I lettori dal palato fine conoscevano già Mikhail Shishkin, classe 1962, tradotto e pubblicato in tre occasioni – Capelvenere, Lezioni di calligrafia e La presa di Izmail – dalla casa editrice Voland di Daniela Di Sora, una delle nostre maggiori slaviste. Molti altri lettori si sono imbattuti in questo scrittore russo dissidente, che da tempo risiede nella terra natale della moglie, la Svizzera, per la tragica contingenza dell’invasione dell’Ucraina da parte dei russi: è stato da più parti intervistato e ha potuto raccontare la propria storia, con tanto di punto di vista e previsioni su ciò che accade e ciò che accadrà. Paradossalmente nonostante lo spazio che gli è stato riservato, Shishkin ha avuto poche possibilità di addentrarsi sul suo quarto romanzo apparso in italiano, che tra l’altro recentemente è rientrato fra i finalisti del Premio Strega Europeo di quest’anno. Un riconoscimento che ci piace pensare sia anche per 21 lettere, la giovane casa editrice emiliana che pubblica pochi mirati titoli l’anno (ad esempio Le dame del Faubourg di Jean Diwo, ne abbiamo scritto qui, o Il diavolo in blu di Walter Mosley, ne abbiamo scritto qui), scelte fuori dal mainstream, sostenendoli bene e a lungo.
Tradizione e stile brillante
Il “nuovo” romanzo è Punto di fuga (392 pagine, 19,50 euro), e in realtà è vecchio di una decina d’anni: l’ha tradotto Emanuela Bonacorsi, la sua storica “voce” italiana. Shishkin ha ben presente la migliore tradizione letteraria russa e i suoi classici, ha uno stile definito e brillante, non teme di confrontarsi con le pieghe più complesse e dolorose della vita e del mondo. Punto di fuga è una storia epistolare e d’amore, di passione e innocenza, di un primo amore costretto alla separazione, ed è un gran bel pretesto per scavare nei cuori e nei sogni degli uomini, per ragionare sul potere della memoria della parola e dei sentimenti contro la guerra e la morte. Lettere d’amore in tempo di guerra si leggono lungo quasi quattrocento pagine, a scambiarsele sono Volodya, giovane scrittore al fronte, partito per partecipare a un conflitto bellico a nord della Cina, e Saša, rimasta a casa, nelle profonda e remota provincia russa.
La vita va, la morte non perdona
Tra presente e rievocazioni del passato, alcune impassibili certezze puntellano le loro lettere. Ad esempio il rischio di una fine tragica e magari imminente.
Ho capito che ho tante cose da dare – calore, amore, pensieri, parole, tenerezza, comprensione – e che tutto può finire ancora prima di iniziare, domani, tra cinque minuti, adesso! Che delusione!
Questo è tutto, ho finito per oggi. La mia mano è stanca. E mi fanno male gli occhi – ti sto scrivendo alla luce della lampada notturna.
Mia Sašen’ka, desidero tanto che tu stia bene!
So che ci rivedremo.
Il tempo sospeso dei due innamorati si nutre della quotidianità più spicciola e delle violenze della guerra, dei ricordi di infanzia e dell’estate del loro amore, ma anche delle tragedie familiari e del sangue delle vittime innocenti del conflitto, tra cadaveri sommariamente sepolti e pallottole letali. La vita che se ne va, il tempo che s’assottiglia, l’insensatezza della guerra, la morte che non perdona segnano inevitabilmente gran parte dell’epistolario.
Le critiche al presente
Quelle di Volodya e Saša sono lettere sfalsate nel tempo, non necessariamente contigue, non necessariamente contenenti risposte a domande ricevute, forse non necessariamente giunte a destinazione. Quelle del soldato sono scritte nell’arco di qualche mese, quelle della donna, invece, vanno avanti per anni e fanno i conti con un senso di personale inadeguatezza e con l’angustia di una vita senza sussulti, su uno sfondo storico che non sembra lontana dalla società russa attuale, con tutti i suoi limiti e le sue criticità, con poche speranze. Shishkin ha scritto un’opera credibile e palpitante, attuale, che merita visibilità e lettori.
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