Povero, orfano, la vita salvata per un soffio. L’adolescente Daniel, protagonista di “Moon Lake”, altro grande romanzo di intrattenimento di Joe R. Lansdale, ci conduce in territori tipici del narratore americano: una tragedia incombente, il coraggio da opporre alla parata di abiezioni, crudeltà e pregiudizi che inquina la natura umana
Cosa possiamo dire del nuovo romanzo del caro zio Joe se non che lo amiamo tanto?
Amiamo le sue ambientazioni notturne, paludose, che svaporano ai confini della realtà. Ci piace farci apparecchiare una storia in cui sappiamo che sicuramente incontreremo almeno un fantasma e, tra la veglia e il sogno, ci sentiremo afferrare i piedi da mani invisibili. Adoriamo gli scambi al vetriolo che movimentano i dialoghi, a volte così iperbolici da farci saltare sulla sedia. Ci piacciono le situazioni grottesche che si generano e le sfide a cui si sottopongono i vari personaggi, così vicini, così materici che, allungando la mano, ci pare di poterli toccare.
Salvato da una “sirena”
Moon Lake (360 pagine, 18,50 euro) di Joe Lansdale, tradotto da Luca Briasco per Einaudi, è la storia di Daniel, che ha perso il padre.
Una notte, nell’attraversare il ponte con la macchina ingombra di quel che resta delle loro cose – la casa è persa, la madre dileguatasi, i soldi finiti –, e dopo uno sproloquio molto incisivo, il padre di Daniel accelera improvvisamente e precipita tutto, figlio compreso, giù nelle acque nere e profonde del lago.
È solo grazie al provvidenziale aiuto di una graziosa ragazzina del posto, scambiata all’inizio per una sirena, che il ragazzo riesce a salvarsi.
A quattordici anni Daniel si ritrova completamente solo e con ingenti traumi da gestire. Sballottato da una sistemazione all’altra, si confronta presto con la stravaganza di una zia anaffettiva e di una famiglia di colore da cui effettivamente vorrebbe essere adottato.
Il lago e una tragedia
A turbare i suoi pensieri e letteralmente i suoi sogni, il richiamo del lago e della tragedia che nasconde: un intero paese sommerso, inondato e travolto, insieme ai suoi abitanti.
Ed è sul fascino della leggenda e sulle trasformazioni inquietanti della storia che il caro vecchio Joe fa leva, regalandoci un altro romanzo di grande intrattenimento, sempre in bilico tra suggestione e vero orrore, sospinto nella narrazione da spacconate di tutto rispetto, proprio quelle a cui siamo così affezionati.
Moon Lake è un incrocio di dimensioni, la bocca dell’inferno che rigurgita mostri, alcuni più reali di altri, è il circo oscuro a cui tutti noi, più o meno consapevolmente, facciamo riferimento, la grande parata di abiezioni, crudeltà e pregiudizi che inquina la natura umana e che per contro mette in luce il suo grande, sfavillante opposto: il coraggio.
Personaggi esplosi, intuizioni geniali
Senza mai smentirsi, fermamente impegnato nella denuncia dell’ingiustizia sociale e del razzismo e con i piedi ben piantati per terra, fisso sulla concezione pulp e però realista dell’uomo che, anche quando ha ragione, è ben lontano dalla traslucenza della santità, Joe ci consegna un’altra delle sue storie nere, lasciandoci col desiderio di sapere qualcosa in più di certi personaggi esplosivi – come la zia di Daniel che, per stizza, si mette a fracassare gli orologi da muro e li scaraventa nell’immondizia –, affacciatisi come intuizioni geniali tra i flutti sinistramente illuminati delle acque torbide di un laghetto artificiale, nel cuore sommerso di un’America irraggiungibile.
E fu bello per un po’, finché non sentii il letto muoversi e capii che mio padre era tornato. Allungò un braccio per toccarmi il piede. Al mio risveglio c’erano solo il buio e il gelo notturno della stanza. Mi ci volle un bel po’ per riaddormentarmi.
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