Critico e filologo, il formalista russo Jurij Tynjanov è stato anche autore (Puskin il suo nume tutelare) di importanti romanzi storici, come “La morte del Vazir-Muchtar”, splendido affresco carico d’attualità. Protagonista il realmente esistito Alexandr Griboedov, inviato della Russia zarista in Persia: trucidato dopo quella che sembrava la soluzione a una guerra…
In un suo intervento critico nella prima metà degli anni Venti del secolo scorso il celeberrimo formalista russo Jurij Tynjanov annotava:
Scrivono senza gioia gli scrittori, come se rotolassero dei massi. Con ancora meno gioia fa rotolare questi massi in tipografia l’editore, e con totale indifferenza li osserva il lettore. Tra parentesi, che strana parola questa! Tutti vedono lo scrittore che scrive, alcuni l’editore che pubblica, ma, a quanto pare, nessuno vede il lettore che legge.
Si può dire che accada anche oggi, circa un secolo dopo. Quello stesso Jurii Tynjanov vedeva, però, il lettore che legge, sapeva cosa scrivere ed era uno scrittore tout court, oltre gli steccati dello studioso e della scuola del metodo formale, un narratore di prim’ordine. I più attenti ricorderanno che nel catalogo Sellerio apparve parecchi anni fa un racconto, Il sottotenente Summenzionato, da cui si evinceva già l’altro talento puro di Tynjanov (scomparso nel 1943, nemmeno cinquantenne, a causa della sclerosi multipla), oltre a quello universalmente noto, quello di sviscerare, in campo accademico, termini e concetti come “parodia”, “linguaggio poetico”, “segno”.
Due editori che lasciano il segno
Di ben altre dimensioni e architettura è il suo La morte del Vazir-Muchtar. Sangue e diplomazia in Persia (583 pagine, 26 euro), che coraggiosamente manda in libreria la casa editrice Settecolori, con postfazione di Armando Torno e prefazione di Louis Aragon. La traduzione è quella storica di Giuliana Raspi, apparsa nel 1961, per l’approdo in Italia di questo romanzo, che aveva trovato spazio nel catalogo dell’editore genovese Umberto Silva; Silva, in attività per un decennio, ma capace di lasciare il segno, con testi letterari e di critica, di linguistica e filosofia. Adesso tocca a un’altra sigla, la Settecolori, erede non solo spirituale dell’omonima creatura nata negli anni Settanta, grazie a Pino Grillo, poi passata al figlio Manuel e adesso rilanciata, anche grazie a nuovi soci e alla direzione editoriale affidata a Stenio Solinas. Il dna dei primi titoli – preferibilmente inediti o dimenticati – dice che si punta a costruire un catalogo ambizioso, raffinato, controverso (che non disdegna tomi come il mitico e monumentale I due stendardi di Lucien Rebatet, autore accusato di collaborazionismo e antisemitismo).
Azione e riflessione
Il passato una lezione, il futuro una promessa
La magnifica sarabanda di figure orchestrate da Tynjanov – filologo che lavorò anche per il cinema, e il cui nume tutelare è Puskin, che nel romanzo compare – comprende la quasi totalità dei tipi umani, gretti e coraggiosi, generosi e violenti. La corte zarista e il pachidermico impero russo si prendono buona parte della scena, tra vecchi rivoluzionari decabristi in disarmo (la rivolta liberale e anti-assolutista fu sedata…), annoiati generali d’eserciti e amici poveri in canna, ma con grandi sogni di gloria, sogni che riguardano la modernità, l’occidente, il denaro e, sopra ogni altra cosa, il potere. Gradualmente incalza il destino ineluttabile del protagonista, i cui resti alla bell’e meglio rientreranno in patria. Come tutti i grandi libri anche La morte del Vazir-Muchtar di Jurij Tynjanov prova a trasformare il passato in una lezione da apprendere e il futuro in una promessa.
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