Un dolente e lacerante testo teatrale dell’ex presidente spagnolo Manuel Azaña, “La veglia a Benicarló”, inaugura la collana “Introvabili” di Minimum Fax. Introdotto, e in parte tradotto, da Leonardo Sciascia, è una conversazione a più voci sulla guerra civile spagnola, dramma senza vinti o vincitori. Un viaggio, una sosta in hotel, un epilogo drammatico…
Sono di quelli che vanno in visibilio per i “ripescaggi” della casa editrice readerforblind in cui mette lo zampino anche lo scrittore Sandro Bonvissuto (avete presente Dante Arfelli?), o che si sdilinquiscono per le riscoperte dalle edizioni Il Palindromo (Borgese, Savarese, il Pinocchio originale), per le riproposte portate avanti con tenacia da Cliquot (da Livia De Stefani a Stelio Mattioni, a Brianna Carafa), per certi recuperi di Sur o della giovane editrice Utopia, che si spingono anche oltre i confini italiani. È in linea con queste passioni da lettore la scelta di leggere il primo titolo di una collana – “Introvabili” – che guarda dichiaratamente al passato e va a caccia di perle perse, dimenticate, maltrattate, umiliate, anche grazie all’aiuto dei lettori, che da talent-scout del passato possono suggerire qualcosa che è rimasto nel cuore, ma non nei cataloghi e, dunque, nemmeno nelle librerie. Appuntatelo tra le cose importanti da fare, ridare, per esempio, una chance a un libro fortemente voluto da Leonardo Sciascia, all’epoca della prima apparizione nelle librerie italiane, per Einaudi, ovvero La veglia a Benicarló (158 pagine, 12 euro) di Manuel Azaña; il volume, scritto nel 1937, era stato pubblicato due anni dopo in Argentina. In questa nuova edizione voluta da Minimum Fax sono state mantenute la prefazione di Leonardo Sciascia (che qualcuno avrà letto all’interno di Per un ritratto dello scrittore da giovane) e la traduzione originale a cura dello stesso Sciascia e di Salvatore Girgenti. Non solo la Francia, ma anche la Spagna era una delle mete preferite di Sciascia, dal punto di vista letterario, a cominciare dalle opere di Ortega y Gasset, e non solo.
Fratellanza e ragione
Poco meno di cent’anni fa, sanguinario aperitivo agli orrori della seconda guerra mondiale, la guerra civile spagnola imperversò, lasciando cicatrici perenni nella storia dell’uomo, e tracce in vari ambiti artistici (si pensi solo a Hemingway…). Eredità di quegli anni è anche La veglia a Benicarló. Testo teatrale, dialogo filosofico a più voci, scritto da un ispiratissimo Manuel Azaña, retto patriota spagnolo e ultimo presidente spagnolo prima della dittatura franchista, preso di mira dai fascisti. Cosa ci vide di speciale in queste pagine Sciascia, scrittore politico nel senso più nobile del termine, politico impegnato in prima persona, eppure diffidente e critico verso il potere, contro la politica machiavellica e contro la politica che può tranquillamente fare a meno della verità? Lo scrittore siciliano, probabilmente, avvertì una certa fratellanza con quello che non era un capopopolo, non un emotivo incendiario, piuttosto un uomo sensibile, razionale e orgoglioso; e poi sentì tutte le lacerazioni di un conflitto che divise famiglie, menti e cuori, che interessò tutta l’Europa, lasciando segni profondissimi per i decenni successivi. E, quasi certamente, fu colpito dal dissidio evidente che c’è fra la ragione dei protagonisti e l’irrazionalità dell’epilogo. Nel sottile e raffinato e continuo riflettere sta la grandezza di Manuel Azaña, che morì mentre si trovava in esilio in Francia, in un hotel sotto la giurisdizione dell’ambasciata messicana.
Il naufragio di aggressori e aggrediti
Ognuno dei protagonisti di questo densissimo testo espone la propria visione del mondo e della guerra civile, in una Spagna dove nessuno trova più “il tempo per lo stupore o la pietà”. Due ufficiali (un aviatore e un capitano di fanteria), un deputato, un medico e un attrice partono, con l’auto del dottor Lluch, da Barcellona con destinazione Valencia. Sosteranno in un hotel di Benicarló, a metà strada fra le due città, e lì si confronteranno ulteriormente, anche con un ex ministro, uno scrittore, un dirigente socialista, un avvocato, un capitano e un propagandista. Amarissime e senza infingimenti certe frasi del medico. Maledettamente attuali:
Guardo gli uomini abbandonati, centomila uomini mutati in carnefici di se stessi, spinti alla morte. Vedo il naufragio di aggressori e aggrediti. La stessa risacca trascina tutti. Cadaveri e cadaveri in ondate di sangue. Questo vedo, nel mio più profondo essere umano.
Condannati a morte
Parlano più che agire, ragionano su una lotta fratricida, su un’umanità sofferente senza vinti, senza vincitori, non lo sanno, ma sono condannati a morte i personaggi che animano queste laceranti pagine recuperate e sottratte all’oblio. Sono individui di troppo, che il mondo circostante annienta, che la storia, contraria all’intelligenza umana, spazza via assieme ai loro ragionamenti, alle loro idee, ai loro stati d’animo.
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