Un libro che ruota attorno all’uscita di scena di uno scrittore, in cui è facile riconoscere il recentemente scomparso Daniele Del Giudice. L’ha scritto Pierpaolo Vettori con “Un uomo sottile” nelle cui pagine l’esistenza incerta, flebile e silenziosa di DDG diventa l’esistenza di ciascun uomo…
In questi tempi così urlati e urlanti, la delicatezza del tono è già un messaggio. Pierpaolo Vettori, con il suo Un uomo sottile (256 pagine, 17 euro) per Neri Pozza, dimostra quanto può essere affascinante la modulazione di una voce che si accorda alla sua materia, e scrive un libro che ruota attorno al dissolvimento, all’uscita di scena, di uno scrittore, ma in fondo di ciascuno di noi, tenendo il ritmo del discorso e la pressione della storia sempre sospesa leggermente da terra, lieve e iridescente come una bolla di sapone, consapevole del suo fugace destino quanto rotonda e pulita nella sua presenza.
Cosa scriverebbe adesso?
Un uomo sottile è la storia di un’indagine. Il protagonista del libro, che parla in prima persona, è un fabbro e uno scrittore, un uomo insomma che maneggia materiale incandescente e vi da forma, che decide di conoscere meglio un altro scrittore, questo però di professione, che nel libro è chiamato solo DDG. DDG, che, si capisce, è Daniele Del Giudice, è malato di Alzheimer, non scriverà più, ma ha già scritto pochissimo anche quando stava bene, e il protagonista vorrebbe capire: perchè ha scritto così poco, cosa scriverebbe adesso?
Interpellare i personaggi
Per farlo, per capire DDG, non cerca coloro che l’hanno conosicuto, non intervista amici, parenti o collaboratori, e non cerca nemmeno di incontrarlo. Intervista i personaggi dei suoi libri, li cerca nei luoghi in cui sono descritti. Un’idea straordinaria, quella di Vettori, che tratta i personaggi come dotati di vita propria (e non lo sono davvero?), li interpella, li chiama a testimoni e protagonisti di un vertiginoso gioco di specchi in cui lo scontro tra opera e autore si mette in scena eppure si risolve, nella naturalezza di dialoghi e nella leggereza di un’ironia che riguarda tanto la letteratura quanto la vita. Uno dei livelli di lettura del libro è certamente il rapporto tra la scrittura e l’autore, scomposto in tanti aspetti: c’è la macchina da scrivere che decide per l’autore cosa scrivere, che sa e contiene le parole, come il marmo dello scultore; ci sono i personaggi che parlano del loro autore (che poi, nel libro, è anch’esso personaggio); c’è il protagonista-lettore delle opere di DDG, trattate alla stregua di prove da analizzare, di cose, di fatti.
La rarità per la parola, amore per il mondo
E poi c’è il silenzio, che è il punto di partenza e di approdo di tutto, che trasforma la storia di DDG nella storia di ciascun uomo, un percorso da un silenzio ad un altro, nel corso del quale, forse, la rarità della parola è una delle poche prove di amore per il mondo, nella forma dell’attenzione reale ad esso, della massima vicinanza possibile alla luce piuttosto che all’oscurità. “Il silenzio è sovversivo”, diceva Edmond Jabes, le cui parole, in questo libro, riecheggiano (“L’immagine di Dio è, allora, l’immagine di una cancellazione infinita? In questo caso anche l’uomo lo sarebbe”).
Il libro è costruito per brevi inserti, quadri, dialoghi, ricordi, riflessioni, in cui la ricerca su DDG si intreccia alla vita del protagonista, alla storia della malattia della moglie, che sembra somigliare a quella dello scrittore silenzioso. I frammenti di vita della coppia sono scorci bellissimi, dolenti e ironici.
Stamattina ho visto un arcobaleno perfetto, come una porta di luna park colorata. È apparso su questo scialbo paese fatto di condominii e capannoni e la gente, anche la brutta gente, ha sorriso un pochino.
Come quell’arcobaleno, l’esistenza incerta, flebile e silenziosa di DDG, l’esistenza di ciascun uomo, la scrittura quando è vera, possono far sorridere perfino la brutta gente.
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