“Ruthie Fear” del debuttante Maxim Loskutoff è un romanzo profetico e crudo. la protagonista Ruthie supera un’infanzia difficile e diventa adulta dentro ad una costante opposizione alla sua specie. Come il Mowgli di Kipling tornerà tra gli uomini senza amalgamarsi ad essi…
C’è un’impervia zona di confine nel Montana, al centro di essa un bosco e nel fitto di questo bosco il cuore vibrante delle leggende.
È proprio da questi luoghi che Ruthie Fear (346 pagine, 18 euro), romanzo d’esordio di Maxim Loskutoff – pubblicato in Italia da Black Coffee edizioni nella bella traduzione di Leonardo Taiuti – prende respiro e si anima.
Quando Ruthie nasce suo padre Rutherford, un cacciatore di vent’anni consumato dalle asperità cui è sottoposto e si sottopone, la adagia sopra la pelle di un mastodontico lupo che lui stesso ha ucciso e scuoiato. Pare che quello – un giaciglio ricavato violando il ventre pulsante di una belva, eviscerata ma ancora in possesso della propria, incandescente anima – sia il solo luogo in cui la piccola, abbandonata dalla madre, riesce a trovare la pace necessaria per addormentarsi.
Una vita spartana
Gli anni passano e Ruthie, abituata fin da subito a una vita spartana, cresce nei boschi e trascorre le notti nei canyon stellati, specchi di un firmamento colmo di bellezza che erompe direttamente dal cuore della terra. In quei momenti ogni bisogno cessa, e l’uomo e le sue sovrastrutture non sono mai state più lontane.
Ma quando Ruthie torna al mondo degli uomini, che detesta così tanto e a cui però, per costituzione, appartiene, si trasforma involontariamente nell’instabile ponte tra due realtà agli antipodi.
La natura, un tempo così lussureggiante e feconda – anche di insidie -, è stata ferita a morte. La caccia, la deforestazione, l’antropizzazione indiscriminata, il continuo, impietoso, infierire sull’ambiente, hanno scatenato reazioni sotterranee e impreviste che si sono tramutate in una maledizione alata: la creatura acefala e putrida che spaventa a morte Ruthie durante una delle sue esplorazioni.
Anticipatrice di sventure
Che cosa sia quella creatura e quali minacce porti con sé nessuno può dirlo, anche perché nessuno, a parte Ruthie, ha potuto scorgerla. Ma la sua presenza incombe sugli uomini senza che gli uomini se ne accorgano, mentre l’infanzia di Ruthie è pesantemente contrassegnata da quell’infausto incontro. Il padre le costruisce un piccolo fortino d’avvistamento ma, nonostante gli appostamenti, la creatura misteriosa non compare più e i suoi contorni smarginano nel mito.
Ruthie intanto è diventata adulta dentro ad una costante opposizione alla sua specie, conservando un punto di vista inviolato, a volte feroce, che si riversa nei suoi rapporti e nei suoi, pochissimi, legami affettivi. Sembra di assistere alla prosecuzione, in chiave contemporanea e dark, del famoso romanzo di Kipling ambientato nella Giungla. Il cucciolo d’uomo torna tra gli uomini, ma, dal momento che ha potuto guardare nel futuro, non si amalgamerà più ad essi.
Senza saperlo Ruthie si trova a rivestire un ruolo che in passato appartenne ad altre donne illustri, prima tra tutte Cassandra: quello dell’anticipatrice di sventure.
L’Ovest americano
Nonostante questo non si opporrà mai, pur avendone l’istinto, ad un destino già segnato e che presagisce. Anzi, la sua storia finisce per consacrarsi interamente all’ultimo istante, a quel momento fatidico cui la sua intera, ibrida esistenza l’aveva predisposta.
Con Ruthie Fear Loskutoff mette a segno un gran bel colpo, consegnandoci un romanzo profetico e crudo, immerso senza riserve in uno degli angoli più affascinanti dell’Ovest americano, un luogo capace di generare maestosi spazi siderali e vertiginosi precipizi infernali.
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