Bernard-Henri Lévy riapre la finestre sulle guerre dimenticate

Una lettura opportuna nella drammatica contingenza storica: è “Sulla strada degli uomini senza nome” di Bernard-Henri Lévy. Si tratta di otto resoconti di altrettanti ritorni su luoghi martoriati da conflitti misconosciuti ai più. Una voce stentorea, franca, di grande spessore e attenta a schivare ogni stereotipo…

Già nel 2002, il filosofo, saggista e giornalista francese Bernard-Henri Lévy aveva riunito in un unico volume, pubblicato in Italia con il titolo di I dannati della terra, una serie di reportage realizzati per Le Monde  in scenari di guerra quasi del tutto ignorati dalla stampa occidentale. BHL (acronimo, desunto dal suo nome, con il quale è conosciuto in patria) ritorna in libreria con Sulla strada degli uomini senza nome (175 pagine, 20 euro) tradotto da Alberto Pezzotta per La nave di Teseo, un antologia di otto resoconti di altrettanti ritorni, avvenuti a distanza di decenni dai precedenti viaggi, in territori martoriati da conflitti ancora misconosciuti all’opinione pubblica.

Una voce che non può tacere

Ignoro la pregressa storia editoriale del libro, ovvero se fosse già in gestazione oppure, come succede agli instant book, abbia visto la luce in risposta alle esigenze di approfondimenti sul tema guerra dettate dai recenti accadimenti in Ucraina. So solo che, pur non intendendo rischiare una banalizzazione e dunque rinunciando per questo ad utilizzare il sempre iperbolico aggettivo “necessario”, posso con onestà definire Sulla strada degli uomini senza nome una lettura più che opportuna in tale drammatica contingenza storica.
Alle spalle del giornalista Bernard-Henry Lévy, c’è un filosofo che ha riflettuto a lungo su marxismo, capitalismo, guerra e pace. La sua voce non può tacere. Trova spazio, infatti, nella prima parte del libro. Qui, articolata formalmente in una premessa suddivisa in cinque capitoletti,Bernard-Henri Lévy “racconta la storia delle sue follie”, indagando i motivi che lo spinsero a muovere i primi passi fuori dalla Francia come scrittore di reportage, ragioni che ancora sopravvivono, sostenendolo con la medesima intensità e determinazione a ben settantaquattro anni di età.

Filosofo e reporter

Questa, francamente, è la sezione che potrebbe richiedere un impegno maggiore al lettore. Leggermente meno agevole, anzi decisamente più complessa rispetto alla successiva, per via dei continui rimandi ai “grandi maestri (…) senza i quali la collera originaria sarebbe andata alla deriva e la voce interiore sarebbe rimasta sospesa, senza corpo o peggio, ridotta agli slogan vuoti di uno spirito settario nichilista e omicida”. Riferimenti sicuramente indispensabili all’autore per rendere più esplicito possibile il viatico letterario e filosofico attraverso il quale si è realizzata la costruzione del reporter, alter ego del filosofo, ma anche al pubblico, che dopo la “scalata” ai presupposti teorici e ideologici del pensiero di BHL, trarrà un vantaggio ancora maggiore dai reportage nella comprensione degli scenari internazionali.

Quante atrocità, anche in Ucraina

I servizi giornalistici sono la parte dinamica del libro. Attraverso di essi Bernard-Henri Lévy riapre una straziante finestra sulle atrocità commesse da Boko Haram e dai pastori fulani in Nigeria, sulle guerre indipendentiste dei Curdi, sulla realtà di Mogadiscio ostaggio dei Jihadisti di Al Shabaab. Pagine estremamente interessanti. Tutte. Inutile, tuttavia, tergiversare sul fatto che il frammento più coinvolgente sia quello dedicato all’Ucraina. Alla luce di ciò che accade in presa diretta sotto i nostri occhi, il suo contributo è preziosissimo. La cronaca dello stato dei luoghi e la narrazione dello spirito del popolo ucraino, rese dalla voce stentorea, franca, di grande spessore e attenta a schivare ogni stereotipo, di Bernard-Henri Lévy si traducono nella riesumazioni delle radici del conflitto in atto, offrendoci una visione d’insieme che travalica, per forza, pertinenza e qualità, un semplice punto di vista, una chiave di lettura parziale di uno sfacelo annunciato.
Sulla strada degli uomini senza nome  trasuda dell’intelligenza e dell’esperienza mai autoreferenziale di BHL. Di uno scrittore -per dirla alla Moliere, con una citazione che Lévy stesso utilizza- “che di fronte a questo pericolo nel cuore dell’umanità, ricorda che esiste un solo mondo in cui deve estendersi l’impero dei diritti dell’uomo”.

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