Coppi, il campionissimo che non sconfisse solo la malattia

Fausto Coppi è stato uno sportivo dalla tempra formidabile e sopravvive al di là del tempo e delle generazioni. Ce lo ricorda “Il volo dell’airone”, la biografia che gli ha dedicato Giancarlo Governi. Emerge un uomo dalle vittorie sportive strabilianti, che non accetta il declino del finale di carriera, e che non riuscì a vivere pienamente l’amore per “la dama bianca” Giulia Occhini, prima della prematura scomparsa…

Quest’airone è volato fra le mie mani in una fredda mattina di febbraio, in una di quelle giornate che si ricordano per sempre, che serbiamo nel cuore come un dono prezioso, perché qualcuno ci ha indicato la strada che avevamo smarrito e il prestito di un libro è diventato un momento di ricapitolazione e dove le coincidenze non trovano spazio, perché  come afferma lo straordinario Victor Hugo: “L’incomprensibile occupa troppo spazio perché all’improbabile ne resti un pochino”. In realtà Il volo dell’airone – Il romanzo della vita di Fausto Coppi (237 pagine, 16 euro) di Giancarlo Governi, edito da Fandango Libri, io non lo avrei mai annoverato fra le mie letture, perché tutto ciò che ruota attorno al mondo del ciclismo mi è fatalmente avverso per ataviche vicende personali. Coppi Fausto, come per molti anni ebbe a presentarsi prima di riconoscere in se stesso quel Fausto Coppi che è assurto eternamente fra le divinità sportive più amate da un’Italia sempre in cerca di eroi, ha stravolto i miei piani, ha fatto tabula rasa di qualunque mio tentativo di eludere diplomaticamente la questione. Qui o si legge il libro o si “muore”, e come Nino Bixio durante la battaglia di Calatafimi rispose senza indugio al richiamo perentorio di Giuseppe Garibaldi (sicuramente c’è della verità in questa leggenda, almeno nella sostanza se non nella lettera di un comando che non ammette repliche) anche io non opposi resistenza alla mia personale chiamata alle armi. Per mia enorme fortuna non dovevo imbracciare un fucile bensì premere i tasti del mio portatile, fra l’altro sdraiata comodamente sul mio amatissimo divano, compagno fedele di letture infinite.

Il crepuscolo degli dei

Fin dalla copertina, in cui campeggia un’immagine di Coppi in tutta onestà veramente brutta, dove viene ammantato di laica santità, si è impresso nel mio spirito un alone di malinconica tristezza. Il campione di Castellania viene descritto, in un libro onesto negli intenti e negli esiti, attraverso un linguaggio semplice ma accattivante, senza adombrarne nessuna fragilità, nessuna umana caduta del corpo e dello spirito. Colpisce su tutto la tempra formidabile di quest’ometto ossuto, che riesce a tirar fuori vittorie strabilianti lasciando senza fiato, letteralmente, nugoli di corridori costretti a malincuore a tributargli onori, ad iniziare dall’avversario per eccellenza, ovvero quel Gino Bartali che lo ricorderà sempre con sincera nostalgia e che gli fu accanto quando altri si allontanarono da quella stella in declino, attratti dal bagliore accecante di stelle nascenti.

“Nessun maggior dolore che ricordarsi del tempo felice ne la miseria”, queste parole messe in bocca, nel canto V dell’Inferno, dal sommo poeta a Francesca da Rimini, descrivono in maniera mirabile lo stato d’animo di tutti coloro che sono riusciti ad agguantare per un attimo un barlume di felicità e che la osservano svanire come neve disciolta dal sole. Come una donna bellissima che non riesce ad accettare serenamente lo scorrere impietoso del tempo, che ne muta inesorabilmente e senza pietà l’aspetto, così Fausto Coppi, al tramontare della sua eccezionale carriera, costellata di successi senza precedenti, non riesce ad accettarne l’inevitabile declino, e rimane attaccato alle vestigia di un passato glorioso che i suoi contemporanei paiono aver già immerso in un triste oblio. Troppa fatica, lacrime e sangue erano costate quelle vittorie al Campionissimo perché riuscisse a rassegnarsi a scendere da quella bicicletta, che sarà sempre per lui croce e delizia, salvezza e dannazione, in una vita funambolica, vissuta all’insegna della dedizione totale al ciclismo, assurto a divinità pagana a cui tributare sacrifici estremi, al limite della tollerabilità.

Divorzio all’italiana

Se esiste una pellicola che non mi stancherei mai di rivedere questa è il capolavoro del grandissimo regista Pietro Germi (che più di ogni altro è riuscito a rendere il clima ipocrita e bigotto dell’Italia in pieno boom economico), ovvero Divorzio all’italiana, che fotografa una realtà amara, la vicenda di una coppia di coniugi intrappolati in un matrimonio stanco e sbiadito e che sfocerà in una tragedia rivestita da farsa. Nell’impossibilità di sciogliere un vincolo divenuto oramai un cappio mortale, i due sventurati daranno vita a una commedia dell’assurdo, in cui nessuno si salva, nessuno è innocente, ma in cui tutti, alla fine, escono in un modo o in un altro sconfitti. Le vicende sentimentali del Fausto nazionale ricordano tristemente, se non i fatti raccontati dal film, quantomeno il clima di esasperato puritanesimo dell’epoca.

L’incontro fra un Coppi oramai di fatto separato dalla moglie, e Giulia Occhini, pietrificata da allora nell’immaginario collettivo nella dama bianca rovina famiglie, avviene in un momento di ritrovata grinta e di rinnovati successi del campione. Il legame fra i due si mantiene clandestino per diversi anni, senza che nessuno dei due avverta l’esigenza di dare al loro rapporto connotati di ufficialità, anche perché l’adulterio era allora annoverato fra i reati passibili di detenzione. La Occhini esita maggiormente, ha paura, e gli accadimenti successivi le daranno ragione, di perdere tutto, la sua rispettabilità, il suo onore, ma soprattutto i figli, da cui comprensibilmente ha timore di venire separata. L’Anna Karenina di Novi Ligure alla fine sceglierà di sfidare la società, il marito e la mentalità di quegli anni per inseguire un sentimento da Coppi ricambiato con autentica passione. I due amanti (così verranno sempre considerati) non riusciranno a vivere mai con pienezza il loro amore, perché la legge, l’ostinata persecuzione del marito di lei e un fato contrario si opporranno ad un happy end che non arriverà mai.

La morte improvvisa

Giungerà invece troppo presto la morte improvvisa dell’Airone che scalava le montagne con una bici che pareva volare, che aveva battuto avversari agguerritissimi e che era riuscito a rovesciare una sorte che sembrava già scritta decine di volte, ma che non potrà nulla contro la malattia. “Chi di voi, per quanto si dia da fare, può aggiungere un’ora sola alla sua vita?”. Le parole dell’evangelista Matteo racchiudono magistralmente il vano tentativo dell’uomo di sfuggire al compiersi del proprio destino. Fausto Coppi verrà letteralmente strappato alla vita dalla malaria appena quarantenne. Il suo ricordo però sopravvive al di là del tempo e delle generazioni, coltivato teneramente dagli amanti di questo sport così duro e impietoso. Il Campionissimo, contro ogni mia aspettativa, mi è entrato nel cuore, perché non riesco mai a rimanere indifferente a chi impasta la propria vita di fatica e sudore e che conosce il valore di ogni conquista e il peso a volte insostenibile delle sconfitte. Lo immagino finalmente libero di poter essere solo Fausto.

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